Il nuovo numero di PdE

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Sommario

Ricordi per la sicurezza

Una riflessione su come i ricordi di episodi pericolosi possono aiutare a migliorare la sicurezza sul lavoro.

Benessere, relazioni e produttività: il progetto dei nuovi luoghi del lavoro.

Il ruolo che il lavoro occupa nella vita delle persone sta fortemente cambiando negli ultimi decenni: una riflessione sui nuovi luoghi di lavoro.

Comportamento Manageriale Positivo (CMP): strumenti organizzativi per la prevenzione dello stress lavoro-correlato

Strumenti organizzativi per supportare un manager per affrontare il tema dello stress lavoro-correlato.

La fuga nelle situazioni di emergenza

Come comunicare in modo efficace la necessità di abbandonare un ambiente in caso di pericolo ed emergenza.

 

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Raccontare una storia

Raccontare una storia

Raccontare una storia, narrarla, è uno strumento prezioso di coinvolgimento che spesso porta tutti all’interno di una dimensione prosociale che la stessa storia rappresenta.

Storie bene comune

Si tratta spesso di storie empatiche di persone e situazioni che rappresentano un prezioso strumento per l’insegnamento e l’apprendimento che aiutano tutti a ricercare le migliori soluzioni per il miglioramento economico e sociale dei protagonisti.

Le storie e il loro racconto possono attrarre le persone a vivere all’interno di “tribù” coese e solidali, ma le stesse storie possono essere uno strumento per la manipolazione e l’indottrinamento. Ecco allora che la coesione ottenuta rischia di allontanare una tribù dall’altra, come calamite che girate al contrario che arrivano a erigere barriere che possono essere letali.

Il fulcro della storia

Ciò significa che occorre prestare attenzione alle storie che ci vengono raccontate sia attraverso le parole, sia attraverso le immagini che sembrano avvalorarle. Aspetto tanto più presente oggi all’interno si una società dove la velocità e la ripetitività con la quale queste comunicazioni vengono trasmesse è tale da risultare spesso intangilbile a ogni possibilità critica.

D’altra parte lo stesso funzionamento del nostro cervello, come gia ricordato, si affida a quell’atteggiamento di prevenzione per cui, una volta elaborata un’idea, siamo spinti a ricercare prioritariamente tutti gli elementi che la confermano. Ecco allora che le storie acquistano una loro credibilità implicita: se tutti lo dicono deve essere vero!

Una domande cruciale sulle storie

La domanda urgente diviene quindi: come possiamo contribuire con le storie “buone” al progresso sottraendoci al rischio di cadere nella trappola di storie che ci allontanano l’uno dall’altro?

Le persone che raccontano le storie lanciano una sorta di incantesimo che permette loro di entrare nelle nostre menti, dove modificano il nostro modo di pensare: come spendiamo i nostri soldi, come votiamo e verso cosa proviamo interesse.

Torneremo su questo tema al fine di ricercare una soluzione condivisa sui temi fin qui sollecitati.

Clima e guerre

Clima e guerre

In questi anni stiamo assistendo a una dicotomia storica. Da un lato è aumentata l’attenzione per i cambiamenti climatici, per la distribuzione delle risorse e per la stessa politica del riutilizzo e del riciclo in una logica di corresponsabilità per i destini di tutti. D’altro lato assistiamo a un aumento di conflitti e guerre, spesso proprio a causa della limitatezza delle risorse disponibili.

Due domande

C’è una relazione tra le due cose? Perché non riusciamo a far leva su quel profondo altruismo che pure appartiene all’esperienza umana?

Una ricerca

Su questi temi risulta illuminante una ricerca condotta dalle università dello Utah e della California.

Nel farlo i ricercatori hanno esaminato i traumi letali di 149 persone vissute nelle Ande centrali, prima dell’invasione spagnola, nell’arco di 700 turbolenti anni: tra il 750 e il 1450.

Anni caratterizzati da siccità pluriennali e precipitazioni imprevedibili. Il tutto connesso a feroci guerre tribali.

Una prima connessione

La connessione più evidente tra le condizioni climatiche avverse e le guerre consiste nella ricerca, da parte delle popolazioni che vivevano in condizioni negative, di territori più favorevoli a scapito di altre tribù: di qui conflitti e guerre. Nulla di inaspettato.

Una seconda connessione

I ricercatori hanno, però, mostrato una seconda connessione tra condizioni climatiche e guerre. Man mano che una popolazione migliorava le proprie condizioni si assisteva anche a un impulso demografico. Questo faceva in modo di rendere insufficienti le risorse stesse. Di qui la scelta di cercare di impossessarsi di quelle degli altri e, di conseguenza, dei loro territori.

I conflitti nascono quindi dalla carenza di risorse, come dalla loro ricchezza.

Ambivalenza umana

Come già affermava Darwin, l’uomo è estremamente ambivalente e ambiguo. Sappiamo essere solidali, altruisti e, al contempo, attenti al piccolo legato all’appartenenza a un gruppo o a una tribù.

Una via

Proprio perché la guerra non è nel nostro DNA, rimane l’arma della cultura: fatta non tanto di affermazioni teoriche, quanto piuttosto di esperienze nelle quali la condivisione positiva delle risorse viene vissuta come vincente.

Una sorta di terza via che rompe il rapporto conflittuale e la dicotomia tra risorse e guerre. Una via da percorrere assieme.

 

Carico mentale

Carico mentale

Sembra facile fare più cose contemporaneamente: sembrano farlo tutti!

Ma il nostro cervello è incapace di pensare a tante cose contemporaneamente. Tanto più perché non gli diamo il tempo di gestirle.

Carico mentale

L’affaticamento che il nostro cervello fa per gestire tante cose contemporaneamente lo chiamiamo “carico mentale”. Questo carico lo avvertiamo attraverso un senso di malessere che proviene soprattutto dalla difficoltà a coordinare compiti che, presi uno per uno, non sono necessariamente complicati. Si tratta di sforzi destinati al fallimento, perché il cervello si satura. Ciò non ci impedisce di provarci, come se ci costasse troppo ammettere questa impossibilità cognitiva e mentale.

Il punto in comune fra i due principali tipi di sovraccarico mentale, quello acuto e quello cronico, consiste nell’accumulo di compiti. Compiti che, presi uno per uno, magari non sono così complicati. La differenza sta nel tempo: se nel primo caso si accumulano tutti nella stessa finestra temporale, nel secondo questo non succede.

 

Alcuni suggerimenti

Vediamo alcuni suggerimenti.

Da un compito a un altro 

Dal momento che non siamo in grado di svolgere più di un compito per volta, è meglio concentrarci sul compito del momento. Questo è possibile pur avendo costantemente presenti tutte le altre attività che stiamo cercando di svolgere, ma solo se aiutati da delle liste pre-preparate.

Nessun braccio di ferro 

Quando si mettono in competizione due compiti si rischia un braccio di ferro e un conflitto cognitivo che accresce la fatica mentale.

Evitare il conflitto

Nel senso di non sovraccaricare di troppa importanza un aspetto, rischiando una fatica eccessiva che poi arriva a far dimenticare altri impegni con conseguenti sensi di inadeguatezza: “mi sono dimenticato!”.

In questo senso ha importanza “mantenere la rotta” tra le cose più importanti e quello che lo sono meno.

Utilizzare una “to do list”

La famosa to do list, la lista delle cose da fare, ha senso soltanto se ogni compito è semplice o accompagnato dalla procedura per portarlo a termine.

Ad esempio, il compito «occuparsi dell’auto» potrebbe diventare: «prendere appuntamento con l’elettrauto per cambiare la batteria».

Automatizzare

Automatizzare i compiti che possono sembrare complicati è una delle chiavi per ridurre il carico cognitivo. Si tratta dei cosiddetti «trucchi del mestiere» che derivano dall’esperienza.

 

Altri suggerimenti e le spiegazioni scientifiche sono presenti nel documento completo che potrà ricevere e scaricare gratuitamente compilando il modulo sottostante.

Carico mentale

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Robinson Crusoe

Robinson Crusoe

Un libro ha avuto un grande successo molti anni fa, poi è divenuto un film da Oscar con Tom Hanks (2000). Si tratta di Robinson Crusoe scritto da Daniel Defoe nel 1719. Defoe, occorre ricordarlo, è una sorta di pennivendolo moderno che scriveva per chiunque e difendendo ogni causa ben remunerata.

Il libro si presenta come la storia vera di un naufrago rimasto per 28 anni in un’isola deserta e oggi rappresenta molti aspetti del modo in cui affrontiamo le questioni che abbiamo di fronte.

 

Vediamone alcuni aspetti che possono avere rilevanza su come stiamo costruendo il nostro vivere.

Un uomo del fare

Robinson costruisce e fa molte cose per la sua casa. Persino una canoa, ma senza un progetto che gli permetta di farla arrivare fino all’acqua.

Restio alla collaborazione

Quando viene a sapere che in un’altra isola c’è un altro gruppo di naufraghi si rifiuta di raggiungerli perché diversi da lui.

Robinson: uomo avido

Quando trova delle monete d’oro e d’argento nella stiva di una nave affondata le tiene tutte per sé con il pretesto di garantirsi la vecchiaia.

Robinson, il padrone

Robinson ha tre compagni: Venerdì (gli ha dato lui questo nome), il padre di Venerdì e uno spagnolo. Tre compagni che mantiene come una sorta di sudditi.

Robinson, chiuso al diverso

La presenza più rilevante nella storia è quella dei cannibali. Qui c’è l’unica parvenza di un cenno di attenzione al diverso. “Quelle persone non erano assassini ma uomini d’una civiltà diversa, che obbedivano alle loro leggi, non peggiori delle usanze di guerra del mondo Cristiano”. Comprensione o giudizio per differenza e da differenza, alla fine segnala la diversità e la chiusura alla comprensione.

 

Un libro molto moderno che, come dice Calvino, da leggere con attenzione e riflettere sulla strada che stiamo intraprendendo verso il nostro futuro.