Consenso

Consenso

Uno dei pensieri più infelici che possiamo fare concludendo una riunione consiste nel pensare che se nessuno dice nulla significa che c’è un consenso con quanto abbiamo detto. Una sorta di silenzio assenso: quello che spesso chiamiamo appunto “silenzio assenso”.

La trappola del consenso

In questo modo si compie però una sostanziale confusione con quella che è una regola amministrativa. Una regola secondo la quale la mancata risposta a un’istanza, da parte di una specifica e ben identificata autorità, va intesa come accoglimento della stessa.

Applicare questa regola amministrativa alle relazioni tra le persone comporta un grave errore cognitivo. Questo perché è sbagliato concludere che il silenzio significhi consenso con le cose che diciamo o con le conclusioni che abbiamo appena proposto.

A volte riusciamo a essere ancora più raffinati, arrivando a pensare che gli altri non dicono nulla perché le nostre argomentazioni sono state così efficaci, che nessuno trova modo di controbatterle.

Le cose però non stanno per nulla così. Il silenzio è solo silenzio e nasconde molte cose.

Può nascondere un profondo dissenso. Il fatto che gli altri ritengono che le nostre argomentazioni sono così deboli o, peggio, così sciocche che non vale la pena neppure di controbatterle.

Due strategie

Certamente possiamo rimediare chiedendo apertamente se ci sono osservazioni. Magari gli altri taceranno solo per far finire presto una riunione fin troppo lunga e noiosa. Ma almeno ci siamo sottratti all’errore cognitivo di credere che il silenzio sia sempre consenso.

Possiamo essere anche rigorosi, specialmente nel caso le decisioni siano importanti. Possiamo chiedere a tutti di esprimere esplicitamente le motivazioni delle loro opinioni. In questo caso il falso consenso appare più evidente: viene smascherato. Fastidioso? Sì, ma molto più utile per lo sviluppo di un progetto e per il clima del gruppo che lo deve realizzare di un consenso solo formale.