Il tema della percezione di insicurezza, al di là dei dati statistici o delle inevitabili polemiche politiche, richiede una riflessione in special modo nel merito delle strategie per affrontare questo pesante vissuto che certamente impatta sulla dicotomia malessere-benessere.
Questo senso di insicurezza cresce nei riguardi di tante circostanze sociali con due fonti principali, la cui conoscenza può permettere di elaborare strategie efficaci di risposta.
Ne parliamo in modo più approfondito nel documento dedicato.
La prima fonte: la paura dell’insicurezza
Si tratta di una paura che si manifesta verso la criminalità e l’ansia verso un determinato e specifico evento, dall’altra abbiamo la preoccupazione che la stessa società elabora a fronte di un possibile evento.
Una distinzione importante perché nel primo caso abbiamo il coinvolgimento diretto della persona come vittima (ad es. omicidio, aggressione), nel secondo invece riguarda un aspetto più generale, come crimini verso il patrimonio (ad es. furto, borseggio), questi ultimi classificati anche come criminalità predatoria.
Un danno però non solo economico nella misura in cui anche quello psicologico derivante, ad esempio, dal furto è percepito dalle vittime come più grave rispetto alla perdita della proprietà o al danno economico.
A questo proposito Hough (1985), che nelle sue ricerche si è occupato dei furti in appartamento e nei veicoli, rileva come il danno emotivo, per le vittime, sia superiore a quello economico. In particolare, sottolinea l’importanza degli effetti sociali e psicologici derivanti dall’aver subito atti di criminalità come i furti, evidenziando la permanenza di condizionamenti anche a molte settimane successive al furto e una diminuzione della socialità e della fiducia nei confronti del prossimo.
In questa direzione occorre considerare anche la presenza di sentimenti di rabbia, un senso di insicurezza e di paura di restare soli nel luogo nel quale i ladri sono già entrati. Ecco perché dopo un furto crescono le strategie che le persone mettono in atto per difendersi dal ripetersi dell’infrazione, proprio perché collegano parte della loro identità all’ambiente nel quale vivono e che sentono violato.
La seconda fonte: Incivility
La percezione della insicurezza è legata anche ai segni di “incivility” come quelli relativi alla presenza di atti di vandalismo nelle città perché visti come specchio di comportamenti antisociali, tanto più se considerati tollerati dalle Forze dell’ordine. Ecco allora che la percezione dell’insicurezza da parte dei residenti in una zona poco vigilata, nonché il senso di paura e di isolamento, arrivano a indebolire la fiducia nelle istituzioni per quanto concerne la loro capacità di prevenire la criminalità.
Nei confronti dell’incivility sociale risultano fondamentali come segni di inciviltà sociale: degrado urbano, droga, sporcizia e atti di vandalismo. Il sentimento di insicurezza è un sintomo del clima generale di un quartiere dovuto più alla percezione dell’incivility che all’incidenza reale della criminalità diretta sui singoli.
La incivility mostra come la disorganizzazione sociale contribuisca ad accrescere la preoccupazione dei residenti per i problemi relativi al proprio contesto sociale e che ciò provoca a sua volta maggiore preoccupazione e probabilità di sentirsi insicuri.
Fattori incidenti sulla percezione del rischio criminalità
La modalità di percezione dell’altro è spesso fonte di processi di stereotipizzazione e categorizzazione generalizzata alla base di pregiudizi sociali. Nascono così stigmatizzazioni nei confronti delle eterogeneità presenti nel tessuto sociale alimentando timori generalizzati verso ciò che non è familiare o conosciuto. Di qui la categorizzazione (immigrato = criminale) porta gli individui a selezionare e modificare le informazioni al fine di confermare la differenza fra i gruppi.
Molti studi hanno preso in considerazione l’ambiente rurale nel confronto con quello urbano al fine di comprendere le variazioni del “fear of crime” nelle due realtà.
Tra i fattori che supportano una riduzione della percezione del rischio criminalità è stata individuata nell’importanza dell’ampliamento della sfera sociale, che aumenta la percezione di serenità dell’ambiente in cui si vive incidendo sul senso di sicurezza e riducendo lo stress. L’importanza del sostegno sociale ed emotivo è stata confermata attraverso il metodo della network analysis (Fischer, 1982), ovvero l’analisi della qualità delle reti di socialità nelle quali il soggetto è inserito, come base per capire origine e trasformazione del sentimento di insicurezza e di paura del crimine. Anche Lagrange (1992) ha evidenziato che, nel contesto delle grandi città metropolitane, le relazioni umane sono maggiormente autonome rispetto a quelle vissute nell’ambiente di provincia o dei centri urbani minori, per cui l’apprensione individuale si unisce alla preoccupazione per la sicurezza che risulta più amplificata.
Considerazioni conclusive
Le azioni di prevenzione personali maggiormente indicate risultano quelle passive (non uscire la sera, non frequentare orari/luoghi a rischio, ecc.) e viene attribuita maggior importanza agli interventi pubblici che coinvolgono le Forze di Polizia rispetto ad altre forme alternative, come i progetti locali sulla sicurezza.
Tenendo conto che dalle variabili considerate emerge un timore generalizzato fra la popolazione riguardo il rischio di subire reati, appare sensato chiedersi se la criminalità percepita sia dovuta ad una situazione di criminalità reale oppure possa essere il risultato di condizionamenti sociali.
La percezione del rischio si conferma, sulla base dei risultati della ricerca scientifica, correlata anche a variabili di natura sociale, non rientranti nella categoria delle incivility, ma legate in particolare all’intera sfera dell’eterogeneità sociale. Vengono valutate “rischiose”, infatti, situazioni notoriamente considerate “critiche” (presenza di tossicodipendenza, prostituzione, ecc.), ma emerge che la percezione del rischio è correlata anche ad una varietà di categorie sociali che appaiono quindi frutto di stigmatizzazioni e pregiudizi sociali (nomadi, extracomunitari), come evidenzia la letteratura in materia.
Relazioni significative emergono inoltre tra il livello di rischio in città e la percezione dell’aumento del crimine, come anche tra la percezione che il crimine sia in aumento ed il timore di essere vittima di un reato.
Le analisi svolte palesano una variazione nella percezione del rischio rispetto a quei fattori maggiormente percepiti della propria realtà residenziale. In particolare, si evidenzia l’attribuzione di diverse cause al fenomeno criminale tra città, periferia e zona rurale. Tale demarcazione appare evidente anche di fronte alla molteplicità degli indicatori sulle tipiche paure caratterizzanti la società contemporanea: disoccupazione, immigrazione clandestina, terrorismo internazionale, solitudine, microcriminalità, ecc.
Tale dato suggerisce un’analisi degli strumenti pubblici di prevenzione che in qualche modo possono contribuire ad una flessione del fenomeno, ma che non vengono considerati efficaci dalla popolazione: in particolare, i progetti di sicurezza come ad esempio la videosorveglianza, non vengano considerati sufficienti per combattere il senso di insicurezza. Analogamente l’impiego di volontari per la sorveglianza del territorio (i cosiddetti “vigilantes”) non sembra altrettanto rassicurante rispetto all’impiego delle Forze dell’ordine. Se da un lato un presidio eccessivo da parte delle Forze di Polizia potrebbe indurre un effetto inverso di “militarizzazione” delle città, i dati delle ricerche confermano che, comunque, la presenza e la visibilità maggiore costituiscono una misura insostituibile per una diminuzione del fear of crime: percepire la presenza e un capillare intervento, serve a ridurre inquietudini e insicurezze, fornendo la necessaria serenità nella convivenza civile. Le Forze di Polizia sono considerate una presenza indispensabile per la tutela della propria incolumità e la maggiore visibilità delle stesse viene tradotta in maggiore prevenzione. Proprio la fiducia nelle Forze di Polizia evidenzia un giudizio positivo sul loro operato. In particolare, l’impiego e la presenza sul territorio di queste ultime sembrano avere un impatto così elevato sulla percezione della sicurezza da rendere poco incisiva qualunque altra forma alternativa di sorveglianza, pubblica o privata. Il pattugliamento della città è considerato importante, mentre l’assenza del poliziotto di quartiere viene valutata come “rischio medio”.
I risultati emersi potrebbero incidere nella scelta e sulla predisposizione di misure di contrasto della criminalità predatoria, che dovrebbero essere non solo efficaci per la riduzione del numero di crimini, ma anche capaci di offrire al cittadino una percezione di maggiore sicurezza. In particolare, emerge la necessità di implementare quelle figure (come il carabiniere, il poliziotto, l’agente di polizia municipale) che per vocazione sono preposte alla salvaguardia della sicurezza, dirigendo gli sforzi verso politiche adeguate (un coordinamento interforze piuttosto che verso un potenziamento o una diversificazione dei compiti), che diviene punto di riferimento per il cittadino (come lo è la recente figura del poliziotto/carabiniere di quartiere).
In allegato una bibliografia di approfondimento sul tema.