
Quando l’acqua diventa pericolosa
Quando l’acqua diventa pericolosa
Sempre più spesso ci confrontiamo con l’esperienza di piogge improvvise e di forte entità che determinato gravi danni e, purtroppo, anche vittime.
Di fronte a questi fenomeni ci sentiamo spesso inermi. Se di fronte ad altri pericoli come ad esempio un incendio possiamo contare su un modello mentale che ci spinge alla reazione (la paura del fuoco), questo non avviene di fronte all’acqua. L’acqua viene vissuta spesso come un bene prezioso, tanto più di fronte al fenomeno sempre più diffuso della siccità, e se preziosa, come fa a diventare da salutare a pericolosa? Siamo di fronte a una soglia che la nostra esperienza umana non sa riconoscere. Basti pensare a quante vittime sono causate dall’abitare in piani interrati, dal recarsi nei garage per portare all’esterno l’automobile o dall’imboccare sotto passi allagati. Quando manca l’esperienza personale e ancor più quella condivisa, il pericolo diviene molto difficile da riconoscere e da imbrigliare, anche perché si mettono in atto comportamenti automatici, come quelli appena descritti, che risultano molto pericolosi.
In altri termini, non possediamo nessun strumento mentale utile per proteggerci dagli effetti di quello che accade e del quale non abbiamo esperienza. Inoltre affrontare questo nuovo pericolo mette in gioco quello che Samuelson e Zeckhauser (1988) chiamano “distorsione verso lo status quo”. Un meccanismo mentale che ci induce a faticare anche solo a pensare di poter cambiare alcune banali abitudini a causa di queste piogge improvvise: di qui l’aumento all’esposizione ai conseguenti pericoli.
Che fare?
Parafrasando un’espressione di Zolli e Hearly (2010) visto che non siamo in grado di controllare questi eventi, possiamo almeno costruire imbarcazioni migliori per assorbirne le conseguenze. Ovviamente non stiamo proponendo di costruire una nuova Arca di Noè, ma di individuare gli strumenti personali e organizzativi per far fronte a questa nuova emergenza.
Occorre sviluppare la capacità personale e sociale di conservare la nostra integrità e i nostri scopi fondamentali anche di fronte a quella che potrebbe manifestarsi come una significativa modificazione delle circostanze di vita determinate da quelle che chiamiamo “bombe d’acqua”. Solo in questo modo la preoccupazione per questo futuro incerto non si trasfrormerà in inquietudine, ovvero nell’impressione di essere impotenti di fronte al pericolo, ma agirà da stimolo per quello che oggi, ormai comunemente, chiamiamo sviluppo della resilienza.
Bibliografia
Samuelson W. & Zeckhauser R. J. (1988). Status quo bias in decision making. Journal of Risk and Uncertainty, 1, 7-59.
Zolli A. & Hearly A. M. (2010). Resilienza. La scienza di adattarsi ai cambiamenti. Rizzoli, Milano, 2014.