La comunicazione della sicurezza dai bit all’inclusione
La comunicazione della sicurezza dai bit all’inclusione
di Antonio Zuliani
La comunicazione relativa ai temi della sicurezza sul lavoro deve necessariamente aggiornare metodi e strategie all’evoluzione della sensibilità sociale e alla presenza di lavoratori provenienti da realtà culturali diverse. L’articolo affronta il concetto di comunicazione proponendo una breve è panoramica della sua evoluzione dagli anni ’40 ad oggi. Andando dalla comunicazione uni-direzionale e quella inclusiva.
Tutto nella difficoltà di uno scritto breve e con la complessità di fornire una definizione di comunicazione perché l’uomo è un essere comunicante e, dunque, comunicazione riguarda la totalità della sua vita e delle sue attività.
Esattezza, precisione, efficacia.
Il primo modello si basa sul lavoro di Clayde Shannon e Warren Waever del 1949. Per loro l’informazione è un dato da trasportare da un punto ad un altro di un canale e quindi la loro attenzione è quella di farlo con la massima esattezza, precisione ed efficacia.
Da questo punto di vista l’attenzione principale si pone sul messaggio e sulla necessità di ridurre l’incertezza nel trasmetterlo. Ecco allora che vengono sviluppate una serie di formule matematiche per misurare le quantità di informazione (bit) necessarie a fare in modo che il messaggio sia trasmesso e ricevuto senza incertezze.
La minaccia fondamentale rilevata in questo modello è quella del “rumore”, elemento di disturbo che può deformare il messaggio facendo si che quello ricevuto sia diverso da quello inviato. Ecco allora che l’attenzione si centra sulla ridondanza che prevede una serie di ripetizioni e i relativi sistemi di controllo (ad esempio lo spelling).
Feedback
Il limite della teoria illustrata è quello di vedere la comunicazione come un processo lineare e di non tener conto della bidirezionalità e del feedback.
Ossia questo modello, pur utile per i suoi scopi pragmatici e tecnici, non descrive la complessità dei fenomeni della comunicazione umana, che è sempre bidirezionale: prevede, cioè, il feedback.
L’introduzione di questo concetto mostra come ogni comunicazione contiene la possibilità di una verifica di efficacia attraverso la verifica di cosa ha compreso l’interlocutore. Da questo punto di vista non ci sono cattivi ascoltatori, ma cattivi comunicatori
Il significato: segni, significati, interpretazione.
Un’ulteriore evoluzione la possiamo vedere nel fatto che un dato può essere trasmesso da un punto all’altro nello spazio solo a patto di affrontare un elemento fondamentale della comunicazione umana: il significato. Ovvero il senso che vogliamo esprimere e che vorremmo fosse compreso.
La lingua è lo strumento principale attraverso il quale comunichiamo, ma esistono anche altri linguaggi come quello dell’arte e del cinema. Così, ogni qual volta utilizziamo una parola comunichiamo un concetto, un’idea, un’immagine, ma poi quello che conta è il significato attribuito a quell’idea o a quell’immagine da chi ascolta quella parola. Se i significati non sono condivisi non vi è comunicazione.
Dal punto di vista della semeiotica (la disciplina che si occupa di studiare i segni e il loro uso) è necessario che le persone posseggano la stessa “enciclopedia”, perché solo allora sono in grado di condividere. Nella consapevolezza, comunque, che essa stessa è in costante rielaborazione.
In altri termini il significante (cioè l’immagine acustica o l’immagine scritta) porta a un significato e a un concetto. Ecco allora che chi riceve una comunicazione deve sempre attuare un processo di interpretazione perché i segni non sono portatori di un unico semplice e immediato significato.
La normalità non è quella in cui il mittente e il destinatario condividono esattamente lo stesso codice, bensì il contrario: la comunicazione consiste nello sforzo di comprendersi, di interpretare correttamente i segni. L’attività a suo modo rischiosa, in cui nulla è dato per scontato né garantito.
La comunicazione come “comportamento” e interazione.
Un’ulteriore evoluzione la dobbiamo agli studi di Bateson che considera gli organismi come dei sistemi aperti, la cui esistenza è sempre in relazione tra loro e con l’ambiente. Secondo questo approccio la comunicazione implica “collaborazione degli attori”, ovvero delle persone che entrano in contatto tra loro e comunicano, mediante “una gestione comportamentale coordinata della co presenza” .
L’attenzione quindi va posta sul modo in cui gli interagenti si comportano per comunicare durante la comunicazione, di qui la valorizzazione della comunicazione non verbale.
Ecco allora che comunicando noi emettiamo una certa quantità di informazioni, ma contemporaneamente metacomunichiamo il tipo di rapporto che vogliamo instaurare con l’interlocutore. La comunicazione non è riducibile a un semplice atto, ma è il sistema per mezzo del quale gli individui si mettono in relazione.
La comunicazione come redazione e come “costruzione di realtà”.
Un ultimo passaggio, che a ben vedere ingloba tutti quelli precedenti, considera che ogni fenomeno comunicativo chiama in causa l’intero modo di vivere degli individui che ne sono protagonisti. In altri termini le pratiche comunicative contribuiscono a costruire una realtà comune condivisa e intersoggettiva.
La comunicazione ha che fare con le modalità di relazionarsi agli altri; essa non consiste più solo nel trasferimento di informazioni, quanto nel processo di condivisione di sistemi simbolici e nei modi di rapportarsi; la comunicazione contribuisce a costruire, ma anche a mantenere e, in certi casi, modificare la realtà sociale e culturale nella quale siamo immersi nella vita quotidiana, con i suoi rituali, le sue routine, le sue regole. In questo senso la comunicazione entra a far parte della cultura condivisa.
Allora si raggiunge una riformulazione dell’assioma che dice “non è possibile non comunicare” trasformandolo in “è impossibile non comunicare inter culturalmente”, perché l’altro non è più altrove, ovvero perché vi sono continue occasioni di entrare in contatto con culture differenti.
Questo aspetto può essere affrontato sotto due prospettive diverse. La prima, di origine statunitense, pone l’accento sull’analisi delle difficoltà culturali che manifesta una persona nel comprendere una comunicazione ed è finalizzata ad adottare le strategie più efficaci per far “passare” la comunicazione.
Il secondo modello centra l’attenzione sul dialogo e pone l’accento sul riconoscimento dell’altro come interlocutore. La relazione che ne scaturisce è paritetica ed implica un processo negoziale fra i presupposti culturali delle persone che si incontrano, finalizzato a valorizzare i diversi punti di vista e, a partire dal proprio, si pone alla ricerca di punti di accordo.