Guidare è più complesso di quel che sembra

Guidare è più complesso di quel che sembra

Mettersi alla guida sembra un’azione semplice e automatica: la grande abitudine a questo comportamento ce lo fa pensare, infatti guidare è più complesso di quel che sembra. In realtà le cose non stanno proprio così, tanto che possiamo affermare che per guidare occorre mettere in atto una serie di processi decisionali complessi. Per ognuno di loro è necessaria sia l’integrità sia la collaborazione di più funzioni cognitive.

Il modello di Michon

John Michon, del Traffic Research Centre dell’Università di Groningen. Michon ha elaborato un modello che mette in luce proprio la complessità delle funzioni cognitive necessarie per poter guidare efficacemente un automezzo. Proponiamo i tre principali processi cognitivi che derivano da questo modello nell’idea che una consapevolezza sugli stessi possa aiutare a una guida più sicura.

In primo luogo, prima di metterci al volante, è necessario pianificare il percorso scegliendo le strade per giungere alla nostra meta e riuscendo a stimare i tempi necessari per arrivarci. Per poter svolgere efficacemente questo compito è necessario mettere in campo la nostra memoria prospettica. Ovverosia quell’abilità di ricordare le intenzioni progettate per attivarle in atto al momento opportuno. Per poterlo fare occorre anche saper utilizzare le esperienze e le conoscenze precedentemente acquisite per applicarle efficacemente anche a questa pianificazione del percorso. Ad esempio avere la consapevolezza della velocità che si può ragionevolmente tenere per arrivare a quella meta, quanti semafori si possono incontrare, e così via.

Il secondo aspetto, che potremmo definire tattico, riguarda la capacità di modulare i nostri comportamenti alla guida in relazione alle condizioni reali che incontriamo sulla strada. Diventa essenziale l’attenzione che poniamo a tutti gli stimoli che ci raggiungono e le abilità visuo-spaziali che ci permettono di collocarci efficacemente nello scenario circostante. Questo perché la nostra pianificazione può risultare inefficace per molti motivi, ad esempio dei lavori stradali che rallentano il tempo di percorrenza o ci inducono a cambiare percorso.

Infine vi è un livello più strettamente operativo che riguarda le decisioni che dobbiamo prendere costantemente mentre guidiamo. Esse vanno dall’utilizzo del volante, del cambio e ogni altro strumento che abbiamo a nostra disposizione. Per procedere efficacemente in questa direzione entrano in gioco tre componenti. Una buona memoria procedurale, una velocità nell’elaborare e nel trasformane la decisione in azione da intraprendere e una sufficiente destrezza nel metterla in atto.

In conclusione

Come si vede guidare è una funzione molto complessa per cui prima di metterci al volante sarebbe importante interrogarci sempre sull’efficienza delle nostre funzioni cognitive coinvolte. Perché, ricordiamo sempre che guidare è più complesso di quel che sembra.

Antonio Zuliani

[Pubblicato su CCISS Viaggiare Informati il 13 gennaio 2020]

 

 

 

In un batter d’occhio

In un batter d’occhio

In un batter d’occhio

 

In un batter d’occhio è un’espressione usata per indicare una cosa che accade molto rapidamente. In molte attività quotidiane, dalle mansioni lavorative alla guida di un veicolo incontriamo eventi così improvvisi.

Ma, fuor di metafora, quando stiamo guidando, cosa accade in un batter d’occhi, ovvero quando battiamo veramente le ciglia?

 

Una ricerca

Da una ricerca di O’Regan e altri (2000) possiamo comprendere come questo batter di ciglia non sia da trascurare per la sicurezza alla guida.

Ogni minuto battiamo le ciglia all’incirca dalle 20 alle 30 volte (Sun e altri, 1997) e ogni battito dura dai 300 ai 400 millesecondi. Non solo, ma gli occhi sono in continuo movimento (Saccadi) il che comporta che dalla comparsa di uno stimolo al momento nel quale viene posto al centro della visione passa un tempo di circa 225 millisecondi. In sintesi ognuno di noi ha i suoi momenti di “cecità”.

Per ogni minuto siamo ciechi dai sei ai dodici secondi, non poco direi. Non cogliamo questi momenti di cecità perché il nostro cervello riempie questi “buchi” anticipando in qualche modo quello che si attende debba accadere.

Quello che i ricercatori hanno mostrato sperimentalmente è che questa attività suppletiva del cervello funziona nel modo descritto al centro del campo visivo, mentre le aree marginali vengono maggiormente trascurate.

In sostanza riusciamo a cogliere con sufficiente efficacia le variazioni delle immagini al centro del campo visivo, mentre ciò che muta ai suoi margini rischia di rimanerci invisibile per un tempo più lungo.

Così se le variazioni di un’immagine viene colta immediatamente quando avviene al centro del campo visivo, alla sua periferia può chiedere da tre a quattro battiti di ciglia (come lasso di tempo andiamo dai 9 decimi di secondo fino a 1,60 secondi).

Si tratta di considerazioni molto importanti perché mostrano come eventi che accadono ai margini del nostro campo visivo rischiano di essere percepiti con un pericoloso ritardo, tanto che in un batter d’occhio la realtà esterna può mutare in modo consistente.

 

Due conseguenze

Questo studio ha due implicazioni. La prima è che tutti dobbiamo aver consapevolezza di questa realtà cognitiva, in modo da non cadere nell’illusione di essere sempre attenti a ciò che accade. La seconda riguarda la salienza dei segnali di modo che, anche se presenti ai margini del campo visivo, riescano a imporsi velocemente all’attenzione.

Allora sì che in un batter d’occhio avremmo la possibilità di reagire positivamente.

 

Bibliografia

O’Regan J. K., Deubel H., Clark J. J. & Rensink R. A. (2000), Picture changes during blinks: Looking without seeing and seeing without looking, Visual Cognition, 7, 191-211.

Sun W. S., Baker R. S., Chuke J. S., Rouholiman B. R., Hasan S .A., Gaza W., Stava M.W. & Porter J.D. (1997), Age related changes in human blinks, Investigative Ophthalmology and Visual Science, 38 (1), 92–99.

Se guidare è una routine

Se guidare è una routine

Se guidare è una routine

di Antonio Zuliani

Gli incidenti stradali non tendono a diminuire nonostante le campagne informative che sempre più spesso vengono promosse. Uno dei motivi relativi alla difficoltà di modificare questo trend dipende dal fatto che le abilità alla guida, dopo il difficile apprendimento iniziale, diventano una routine alla quale ci si affida in tutte le circostanze: si ripetono degli schemi di valutazione e comportamento che diventano così “abitudini”. Che queste abilità diventino una routine è certamente normale, anzi indispensabile; se così non fosse il guidare rimarrebbe un’impresa così ardua da non poter essere utilizzata quotidianamente per i necessari spostamenti: richiederebbe troppo impegno mentale!

Il problema è che questa, come ogni altra routine, per essere veramente efficace richiede la consapevolezza che non può essere utilizzata sempre e comunque, in tutte le condizioni.

Da questo punto di vista riteniamo sia molto utile lavorare sulla consapevolezza di come le routine, così necessarie in numerose circostanze, possano trasformarsi in una fonte di rischio. 

Consapevolezza dei limiti cognitivi.

In questa direzione appare utile fornire alle persone alcune conoscenze relative ai limiti del funzionamento del cervello al fine di accrescere la consapevolezza della necessità di non affidarsi a quello che si sa, ma di essere capaci di leggere i segnali che provengono dall’ambiente, di interpretarli e di renderli uno stimolo per attivare azioni utili a fare fronte a quanto accade ed è “nuovo”. Da questo punto di vista appare utile far vedere come alcune delle abilità che pensiamo di possedere sono del tutto illusorie.

Non siamo multitasking.

La prima riguarda il mito di essere multitasking: ciò di riuscire a gestire contemporaneamente più dati (guidare, parlare al telefono, sbirciare il cellulare, ecc.). Non si tratta solamente di un richiamo al rispetto del codice della strada, ma di sperimentare la pericolosità di miti come quello appena descritto. Ad esempio parlare al telefono non è pericoloso solo perché una mano è occupata a tenere il telefono piuttosto che a essere sul volante. Lo è perché la telefonata in sé assorbe l’attenzione del guidatore. Un’attività adatta a migliorare i comportamenti alla guida non possa prescindere lavorare proprio sugli aspetti cognitivi che determinano le routine di guida. Se guidare è una routine occorre esserne consapevoli e trovare le strategie più efficaci per non farla diventare pericolosa.

Come trasferire le consapevolezza.

Ecco allora che una campagna di sensibilizzazione sul tema della guida non dovrebbe limitarsi a richiamare la necessità di una maggiore attenzione e al rispetto delle regole della strada. Seguendo solamente questa strategia si rischia di non ottenere la necessaria attenzione nei destinatari, tutti sostanzialmente convinti di essere degli attenti e bravi guidatori.