Lavoro in solitudine

Lavoro in solitudine

Lavoro in solitudine

di Antonio Zuliani

Il lavoro in solitudine sta crescendo anche a causa dell’evoluzione tecnica e presenta tre caratteristiche rilevanti per la salute e la sicurezza del lavoratore, ma anche per la sicurezza generale nell’azienda:

  • in primo luogo espone alla possibilità di non essere soccorsi in caso di malore o in caso di infortunio;
  • in secondo luogo mette il lavoratore in condizione di affrontare da solo situazioni che richiedono una consapevolezza della situazione e una presa di decisione, a fronte di eventi più o meno anomali legati al processo lavorativo e alla sua sicurezza;
  • la terza criticità è collegata ad aspetti di natura psicologica e sociale che possono avere importanti ripercussioni sullo stato di benessere del lavoratore: ed è il tema dello stress legato alla specifica condizione del sentirsi da solo.

Per quanto riguarda l’aspetto legato all’allarme a fronte di malori, infortuni, incidenti, oggi le soluzioni tecnologiche (sistemi di trasmissione, GPS, applicazioni ai cellulari, segnalatori automatici di malessere, eccetera) sono in grado di offrire una risposta, soprattutto se combinate tra loro.

Sono invece, scarsamente affrontati gli altri due aspetti che incidono sia sui comportanti indotti dal lavoro in solitudine, sia quelli connessi ai processi decisionali.

Il ruolo dell’alcol.

Nel primo caso pensiamo all’abuso di alcol (se si è da soli è più facile sfuggire ai divieti di consumo in orario di lavoro) e all’abuso di fumo possono a loro volta divenire un fattore di difficoltà nell’assunzione di decisioni in situazioni critiche, e quindi rappresentare un fattore di rischio per la persona e un pericolo per il processo produttivo. Lo stesso abuso di cibo è contrario al benessere e alla salute del lavoratore.

E’ ben vero che si tratta di comportamenti spesso vietati nell’ambiente di lavoro, ma è altrettanto vero che esistono e che non prendere in considerazioni il fatto che possano essere stimolati o accentuati da determinate condizioni di lavoro non appare produttivo per chi si voglia veramente occupare del benessere dei lavoratori.

I processi decisionali.

Vi sono, inoltre, molte situazioni nei quali il lavoratore è chiamato a prendere delle decisioni. Può trattarsi di eventi improvvisi, anche se non inattesi, di eventi che possono compromettere la sicurezza per lui stesso, per il processo produttivo e anche per le strutture aziendali.  Per la maggior parte di queste situazioni è verosimile (e obbligatorio) che l’azienda abbia condotto delle previsioni, sviluppato piani di intervento se non addirittura di veri piani di emergenza. E che abbia impegnato il lavoratore in opportuni corsi di formazione, ripetuti nel tempo.

Pur tuttavia vi è sempre un margine decisionale da parte del lavoratore sia nel dare risposta agli eventi (accorgersi di un’anomalia, di un malfunzionamento), sia nel decidere quale soluzione adottare per risolverli.

Questo aspetto è simile alla condizione di altri lavoratori, che pur non essendo definibili come lavoratori in solitudine si possono trovare ugualmente soli nel prendere decisioni vitali: pensiamo agli infermieri soli di notte nei reparti ospedalieri, o agli operatori di notte nelle case di riposo: appunto non soli, ma con l’affidamento di persone a loro affidate, le cui condizioni di salute possono aggravarsi in breve tempo. Anche il loro processo decisionale si svolge, almeno per un certo tempo, in solitudine e sotto la tensione di una forte responsabilità. Condizioni in cui è più facile sbagliare.

Misure possibili.

Se il lavoro in solitudine non rappresenta di per sé un rischio, bensì una condizione di lavoro che può esporre il lavoratore alle tre situazioni di rischio accennate, è allora il caso di ridurlo al minimo. Tra le misure da adottare, la valutazione dei rischi, la formazione ripetuta, la sorveglianza sanitaria, la valutazione dello stress lavoro correlato. Tra le scelte organizzative, è il caso di prevedere, ad esempio, che non siano sempre gli stessi soggetti ad essere adibiti al lavoro in solitudine, indipendentemente dalle loro opzioni. Riteniamo infatti sia compito dell’organizzazione favorire la rotazione e non caricare di turni di solitudine coloro che si offrono. Occorre, in altri termini, abbandonare la logica della disponibilità per abbracciare quella dell’idoneità.

Altra misura di attenuazione può consistere in un periodico contatto audio/video con il lavoratore che opera in queste condizioni.

Per ulteriori approfondimenti leggi il numero 38 della rivista PdE

Illusione di controllo

Illusione di controllo

Illusione di controllo

di Antonio Zuliani

La difficoltà di accettare la logica del caso ci spinge a ricercare sempre delle correlazioni tra quello che accade, e questo ci spinge a comportamenti a volte molto buffi. Ad esempio sarà capitato a tutti, partecipando a un gioco che prevede il lancio di dadi, di gettarli con forza avendo l’obiettivo di ottenere un numero alto e di fare, invece, un lancio debole se desideriamo ottenere un numero basso.

Un altro esempio è quando arriviamo camminando a un semaforo e spesso ci precipitiamo a premere il pulsante di chiamata ritenendo, in questo modo, di accelerare la comparsa del verde che ci permetterà di attraversare la strada. Solo l’aver compiuto questo gesto ci tranquillizza e ci predispone ad attendere con maggior tranquillità il nostro turno. Questo meccanismo è talmente noto che spesso vengono posti in essere quelli che vengono chiamati “pulsanti placebo”, che non attivano nessuna azione, ma danno alla persona l’illusione di controllare la situazione.

Regressione verso la media.

L’illusione di controllo si manifesta anche in circostanze più significative, ne fornisce un efficace esempio Kahneman (2001) parlando del tema della “regressione verso la media”, cioè della tendenza dei fenomeni a normalizzarsi spontaneamente.

L’autore, parlando della sua esperienza quale consulente psicologo dell’esercito israeliano, riflette su un atteggiamento che aveva rilevato tra gli istruttori di volo. Questi ritenevano che sgridare i piloti quando sbagliavano una manovra, ottenesse un miglioramento in quella successiva, mentre lodare l’allievo che aveva compiuto un buon volo era controproducente perché il risultato era quello di un peggioramento della performance in quello successivo: in sintesi sgridare serviva, lodare no.

A prova di questa convinzione c’era l’osservazione che dopo una lode l’allievo che aveva svolto una manovra eccezionale peggiorava le sue prestazioni e dopo una critica le migliorava.

Questa convinzione è un chiaro esempio di incapacità di comprendere il fenomeno di regressione verso la media che ingloba il fatto che dopo un’ottima performance è più probabile che ve ne sia una di meno efficace e che, viceversa, a seguito di un cattivo rendimento ve ne sia uno di migliore. Kahneman suggerisce che il risultato del secondo volo non dipendeva dall’essere lodati o sgridati, ma dall’andamento statistico delle prestazioni.

In termini di gestione delle risorse umane lodare o sgridare appare un modo efficace per riconoscere il livello della performance, ma non incide con altrettanta efficacia sulle prestazione future.

Come l’illusione porta alla truffa.

L’illusione di controllo ha anche dei risvolti più negativi perché può portarci a conclusioni errate e pericolose, come mostra il meccanismo di una truffa fin troppo efficace (una versione la troviamo anche in Macknik e Martinez-Conde, 2010).

Tutto inizia inviando, a 1.000 indirizzi e-mail del tutto sconosciuti, un messaggio che annuncia la nostra capacità di prevedere quale squadra vincerà un equilibratissimo incontro di basket. Ovviamente a metà indirizzi indicheremo una vincitrice e all’altra metà l’altra squadra contendente.

A questo punto alle 500 persone alle quali abbiamo inviato il pronostico casualmente esatto, ne inviamo un altro. Anche in questo caso a metà soggetti indicheremo che la prossima quadra a vincere l’incontro sarà A e all’altra metà B. Visto che o l’una o l’altra certamente vincerà, agli occhi di 250 persone appariremmo come colui che ha indovinato due pronostici su due: non male veramente.

Ora si tratta di inviare un terzo, poi un quarto e infine un quinto pronostico utilizzando la stessa strategia. A questo punto poco più di 30 persone penseranno che siamo proprio straordinariamente affidabili e bravi nel pronosticare chi vince gli incontri di basket: ben 5 su 5.

E qui il tono dalla sesta mail può cambiare: è arrivato il momento di chiedere un piccolo finanziamento per poter puntare tutti assieme sulla prossima partita che, alla luce della regola che oramai ha preso molti dei ragionamenti delle vittime, io saprò pronosticare con la stessa esattezza di sempre.

A questo punto si tratta di incassare e di sparire. L’incasso è garantito perché mai rischiarlo in una scommessa di cui avrei solo il 50% di indovinare l’esito?

Le vittime credono di avere sotto controllo tutti i dati della situazione, che tutto sia chiaro ed evidente!