Clima e guerre

Clima e guerre

In questi anni stiamo assistendo a una dicotomia storica. Da un lato è aumentata l’attenzione per i cambiamenti climatici, per la distribuzione delle risorse e per la stessa politica del riutilizzo e del riciclo in una logica di corresponsabilità per i destini di tutti. D’altro lato assistiamo a un aumento di conflitti e guerre, spesso proprio a causa della limitatezza delle risorse disponibili.

Due domande

C’è una relazione tra le due cose? Perché non riusciamo a far leva su quel profondo altruismo che pure appartiene all’esperienza umana?

Una ricerca

Su questi temi risulta illuminante una ricerca condotta dalle università dello Utah e della California.

Nel farlo i ricercatori hanno esaminato i traumi letali di 149 persone vissute nelle Ande centrali, prima dell’invasione spagnola, nell’arco di 700 turbolenti anni: tra il 750 e il 1450.

Anni caratterizzati da siccità pluriennali e precipitazioni imprevedibili. Il tutto connesso a feroci guerre tribali.

Una prima connessione

La connessione più evidente tra le condizioni climatiche avverse e le guerre consiste nella ricerca, da parte delle popolazioni che vivevano in condizioni negative, di territori più favorevoli a scapito di altre tribù: di qui conflitti e guerre. Nulla di inaspettato.

Una seconda connessione

I ricercatori hanno, però, mostrato una seconda connessione tra condizioni climatiche e guerre. Man mano che una popolazione migliorava le proprie condizioni si assisteva anche a un impulso demografico. Questo faceva in modo di rendere insufficienti le risorse stesse. Di qui la scelta di cercare di impossessarsi di quelle degli altri e, di conseguenza, dei loro territori.

I conflitti nascono quindi dalla carenza di risorse, come dalla loro ricchezza.

Ambivalenza umana

Come già affermava Darwin, l’uomo è estremamente ambivalente e ambiguo. Sappiamo essere solidali, altruisti e, al contempo, attenti al piccolo legato all’appartenenza a un gruppo o a una tribù.

Una via

Proprio perché la guerra non è nel nostro DNA, rimane l’arma della cultura: fatta non tanto di affermazioni teoriche, quanto piuttosto di esperienze nelle quali la condivisione positiva delle risorse viene vissuta come vincente.

Una sorta di terza via che rompe il rapporto conflittuale e la dicotomia tra risorse e guerre. Una via da percorrere assieme.

 

La sicurezza dell’IO

La sicurezza dell’IO

Durante questa pandemia ho pensato e sperato che l’esperienza vissuta fosse fonte di nuovi apprendimenti. Il sapere che il nostro cervello apprende dall’esperienza mi rassicurava in marito. Lo sperimentare come l’uscita dalla fase più acuta della pandemia fosse la conseguenza delle attenzioni e dei gesti di tutti, ci faceva sperare che questo ci avrebbe insegnato come analoga attenzione valesse anche per la sicurezza sul lavoro. Ciò all’interno di una visione di compartecipazione collettiva all’obiettivo e alle attenzioni per raggiungerla.

Ma le cose sono più complesse.

Quello che sta accadendo con le resistenze emerse attorno alla vaccinazione e all’adozione del green pass sta mostrando, però, anche un altro versante della questione. La rivendicazione di un diritto personale a considerare il proprio concetto di sicurezza superiore a quello collettivo. Un atteggiamento che avrà ripercussioni inevitabili anche sulla sicurezza sul lavoro nell’azienda. Ciò perché sempre più persone si sentiranno nel diritto  non aderire e rispettare le regole e i comportamenti indicate dalla norma e dall’azienda.

Perché è avvenuto questo? Perché questa tendenza è oggi fomentata da parte del mondo sindacale e politico? Per quale motivo una sicurezza collettiva, del noi, è sostituita da quella personale dell’Io.

Due ragioni su cui riflettere

Le ragioni possono essere tante e riteniamo utile discuterle.

Formuliamo due prime ipotesi di discussione con l’intento di aprire un dibattito in merito.

In primo luogo la pandemia ha evidenziato una tendenza, che esiste nella nostra cultura, che privilegia l’interesse del singolo su quello della sua stessa comunità di appartenenza. La pandemia ha evidenziato, attraverso il comportamento e la dedizione di molti, il meglio che c’era in noi. Ma anche le contraddizioni. Come accade di fronte a tutti le situazioni critiche.

Un secondo aspetto deriva dall’aver accentuate l’importanza della risposat tecnica alla pandemia, attraverso la pur corretta valorizzazione del vaccino.

Il vaccino è correttamente uno strumento forte nel panorama della risposta complessiva alla sicurezza contro il Covid. Ma se troppo enfatizzato arriva a sminuire il senso di tanti piccoli e decisivi gesti personali. Questo ha portato ad atteggiamenti significativi come la spinta a dismettere al più presto l’uso delle mascherine, dell’igiene delle mani, dell’evitare assembramenti eccessivi. Attenzioni alla sicurezza che vanno bel al di là della pandemia.

Sono solo due degli aspetti che hanno accentuato la tendenza a privilegiare il mettere al centro la visione personale di sicurezza a scapito di quella collettiva. La quale, inevitabilmente, chiede delle rinunce, la prima delle quali è di non ritenere di essere comunque è sempre nel giusto.

Un’apertura di riflessione. Affinché la ripartenza delle attività produttive non provochi tensioni e significativi arretramenti verso lo sforzo di realizzare una cultura della sicurezza solida e condivisa.

Discutiamone