La lettera rubata

Questo caso studio è tratto dalla letteratura: nel racconto di Edgard Allan Poe “La lettera rubata” troviamo un esempio relativo a funzionamento dei frame e degli script cognitivi.

Di questo interessante racconto si sono occupati anche valenti letterati e studiosi. Marcel Proust lo ha ripreso nel romanzo “Sodoma e Gomorra” del 1922. Proust scrive “quegli oggetti che sfuggono alle perquisizioni più minuziose, e che semplicemente sono esposti agli occhi di tutti, passando inosservati su un caminetto”. Lo stesso ha fatto Leonardo Sciascia in “Toto modo”, mentre Jaques Lacan vi ha dedicato uno studio nel 1955.

Il racconto

Poe narra del furto di una lettera estremamente compromettente perpetrato dal ministro D ai danni di una gran dama di corte (forse la stessa regina di Francia). Monsieur G, prefetto di polizia di Parigi, conosce l’identità del ladro e sa che non si è liberato della lettera. Nonostante tutti gli sforzi che vanno dalla perquisizione personale a quella più che accurata dei suoi uffici e appartamenti, non riesce a recuperarla.

Quando si rivolge a Auguste Dupin, l’investigatore ideato da Poe, il mistero sarà presto risolto con il recupero della lettera.

Il ministro D ben conosceva le tecniche investigativa della polizia. Non aveva, quindi, nascosto la lettera, ma l’aveva lasciarla in bella evidenza nel suo portacarte, avendo solo l’avvertenza di rigirarla e di sigillarla. Se avesse cercato di occultarla la polizia l’avrebbe certamente trovata, ma mai agli stessi venne in mente, proprio perché questo andava contro ai loro frame cognitivi, che fosse in bella mostra, quasi esibita.

Come osserva Dupin, gli uomini della polizia “… riflettono soltanto sulla base delle loro idee; e, nel cercare qualche cosa nascosta, pensano solamente in che modo l’avrebbero nascosta”. Dupin continua “Nella loro investigazione essi non mutano mai i loro principi; tutt’al più, quando sono spinti da qualche insolita emergenza o da qualche eccezionale ricompensa, estendono o esagerano i loro vecchi sistemi, senza mai toccare i loro principi”.

Proprio l’abbandono della tecnica investigativa classica ha permesso  a Dupin di risolvere il mistero mette do in campo un’altra competenza: la capacità di mettersi dal punto di vista dell’altro.

D’altra parte era la stessa cosa che era accaduto nel momento del furto. La gran dama, all’entrata del ministro D, non cercò di nasconder la lettera, la mossa avrebbe insospettito i presenti, ma si limitò a lasciarla coperta sul tavolo da dove il ministro l’aveva semplicemente presa, come se fosse cosa sua.

Solo il ministro, e successivamente August Dupin, sapevano abbandonare i propri schemi mentali.