TravellersLa demenza nelle comunità traveller irlandesi in Gran Bretagna e il bisogno di servizi culturalmente attenti

di Martina Zuliani

Quando parliamo di salute mentale e della relativa assistenza dobbiamo sempre considerare il contesto culturale e sociale in cui il paziente vive. Questo bisogno emerge chiaramente nell’articolo pubblicato online dal portale di Leed GATE (gypsy and Traveller exchange), un’associazione che si occupa di dialogo interculturale con la popolazione rom e traveller di Leed (Regno Unito) e dei loro bisogni.

L’articolo si focalizza soprattutto su i traveller, comunità nomade di etnia irlandese. I traveller sono nomadi per motivi economici, avendo storicamente praticato professioni che richiedevano spostamenti dell’intero nucleo famigliare e, nel tempo, hanno costruito delle tradizioni a se stante. Molti traveller irlandesi sono migrati nel Regno Unito durante l’epoca della grande carestia irlandese ma anche in anni recenti. Molti di essi sono ancora legati ad uno stile di vita nomade che li tiene isolati dal resto della società. Nel Regno Unito essi vivono una doppia discriminazione come nomadi, e quindi associati ad uno stile di vita “zingaro” e come irlandesi.

La salute degli appartenenti alla comunità traveller è tuttora un problema nel Regno Unito. Si calcola che le donne traveller abbiano un’aspettativa di vita di 12 anni inferiore rispetto a quella della popolazione maggioritaria e quella degli uomini sia di 10 anni inferiore. Per quanto riguarda la comunità traveller di Leeds, i dati statistici mostrano come solo il 3% della popolazione traveller viva oltre i 60 anni, contro un’aspettativa di vita di 78 anni per la popolazione maggioritaria.

Potrebbe dunque sembrare che i membri delle comunità traveller non siano a rischio di demenza, dato che essa viene spesso considerata come una malattia dovuta all’invecchiamento. La ricerca della dottoressa Mary Tilki condotta tra i traveller di Leed dimostra invece come essi siano soggetti a demenza ad un’età meno avanzata rispetto al resto della popolazione. Essi raramente si rivolgono alle strutture sanitarie, spesso per mancata conoscenza della malattia e del bisogno di cure.

Le cause della demenza in età non avanzata tra i membri della comunità traveller sono, secondo la dottoressa Tilki, legate alle malattie più comuni tra essi. La comunità traveller presenta infatti livelli molto alti di presenza di malattie cardio-vascolari, diabete, ipertensione e di disturbi quali la depressione e l’ansia.

La dottoressa Tilki evidenzia come le famiglie traveller abbiano più difficoltà rispetto alle altre nell’adottare metodi di resilienza verso la demenza e la malattia mentale di un loro membro. Spesso esse vivono in campi sosta privi di strutture igieniche o con servizi inadeguati. I bagni chimici forniti dai comuni non sono infatti pensati per persone con invalidità o bisognose di assistenza in generale. Inoltre, sia la bassa istruzione che le norme culturali delle comunità traveller pongono ostacoli nella comunicazione della malattia. La prima fa si che essi conoscano a sufficienza i servizi offerti e le procedure da seguire per prestare assistenza ad una persona con demenza. Le norme culturali, invece, portano i traveller a nascondere la malattia mentale di un loro congiunto per l’inaccettabilità di essa.

Inoltre, la mancanza di aree di sosta adeguate fa si che, nella mobilità, le persone con demenza siano a rischio di non venire seguite o di vagare e perdersi, soprattutto se pensiamo che le aree comunali vengono costruite in posti isolati.

Molti anziani traveller con disabilità sono costretti a trasferirsi in case, cosa che li porta a vivere fuori dal proprio contesto culturale ed a essere isolati rispetto alla propria comunità. Le loro famiglie li seguono e vengono in contatto con ulteriore ansia ed isolamento.

Per questi motivi la dottoressa Tilki suggerisce la ricerca e lo sviluppo di servizi sanitari adeguati allo stile di vita traveller che includano anche cure adeguate per le persone con demenza. Tali servizi dovranno essere sviluppati nel rispetto della cultura traveller e dello stile di vita nomade. In tal modo si riuscirà a fornire informazioni e raggiungere malati finora isolati e privi di assistenza. L’associazione Leed GATE e quella Irish in Britain, assieme ai residenti dell’area di sosta Cottingley Springs di Leed stanno lavorando all’identificazione di possibili modi di mettere in atto tali servizi.

Nella situazione italiana troviamo un 3% della popolazione sinta avente uno stile di vita nomade. Essi sono giostrai ed artisti circensi di nazionalità italiana. Anche qui si può vedere come essi non dispongano ne di strutture adeguate per l’abitare delle persone con disabilità ne di un servizio adeguato per l’assistenza alle persone nomadi con demenza. Essi possono essere dunque comparati ai traveller irlandesi. Lo sviluppo di un servizio di cura rivolto agli anziani sinti conducenti una vita nomade  andrebbe ad inserirsi in un approccio alla sanità e ai suoi servizi avente un carattere interculturale, cosa che, ai giorni nostri, risulta indispensabile per lo sviluppo di una società inclusiva.

L’articolo originale può essere letto in lingua inglese al seguente link.

Altre fonti:
Equality and human rights commission. 2009. Inequalities experienced by Gypsy and Traveller communities: a review. Disponibile in lingua inglese al seguente link.