La legge dei piccoli numeri

La legge dei piccoli numeri

La legge dei piccoli numeri indica (Kahneman, 2011) la tendenza che abbiamo a credere come statisticamente vere delle sequenze di piccole serie. Questo anche se ciò sarebbe vero solamente per serie molto più lunghe.

Si tratta di una tendenza che fa in modo che anche fenomeni del tutto casuali appaiono ai nostri occhi come un modello coerente. Ma, ancora di più, giustifica ogni parere senza la necessità di un confronto oggettivo.

Alcuni esempi

Un esempio è quello utilizzato da coloro che ci vendono i sistemi per vincere al lotto (ancora molto presenti nelle televisioni private in Italia). Farci credere che l’uscita di un numero ne richiami un altro è pura fantasia. Statisticamente la possibilità che esca la sequenza 1, 2, 3, 4 e 5 è la stessa della sequenza 48, 23, 65, 12, 9. Al nostro cervello sembrerà più probabile la seconda solo perché ci appare più tipica di un’estrazione casuale piuttosto che la prima. Ma dal punto di vista strettamente statistico ogni volta che viene estratto un numero, un’altri qualsiasi ha la stessa probabilità di uscire.

Analogamente possiamo pensare al gioco della roulette o gettare in alto di una moneta.

Troviamo questa tendenza anche in molti commenti sportivi quando si attribuisce il valore di un giocatore attraverso una sequenza limitata nel tempo dei suoi gesti atletici. Quante volte abbiamo sentito parlare di “mano calda” riferito al giocatore di pallacanestro o di “fiuto del gol” per il giocatore di calcio. In effetti, queste valutazioni vengono prodotte su un numero limitato di osservazioni e quindi nulla dicono in realtà sul valore complessivo di quell’atleta.

Per enfatizzare si racconta di un matematico molto prudente che quando saliva a bordo di un aereo portava con sé una bomba. Il suo ragionamento era “la probabilità che su un aereo ci sia una bomba sono molto poche. Di certo la probabilità che su un aereo ci siano due bombe è pressoché nulla. Quindi posso stare tranquillo”.

I piccoli numeri e coronavirus

Purtroppo questa legge dei piccoli numeri sembra imperare anche nelle letture più diffuse circa i coronavirus. Qui interviene la sostanziale assenza nel nostro paese di una statistica sanitaria forte e centralizzata che ci permetta di ragionare con un po’ di razionalità. Così, utilizzando la legge dei piccoli numeri tanti esperti possono esprimere giudizi senza il timore di essere smentiti o, almeno di confrontarsi, con dei dati oggettivi. Indubbiamente un vantaggio per chi parla e uno svantaggio per tutti.

Natale 2020

Natale 2020

Natale 2020: già, come sarà il Natale del 2020?

Il Natale ha dei suoi riti e delle sue tradizioni. Forse sono abitudini faticose e non proprio gradite, ma proprio perché oggi in pericolo di non poter essere realizzate ci diventano care e indispensabili.

Così indispensabili che il fatto di non poterle realizzare anche solo in parte ci fa soffrire. D’altra parte dopo mesi caratterizzati da un’autentica fatica da pandemia ogni variazione dalle abitudini acquisite ci sembra intollerabile. In questa situazione di incertezza che ci lascino almeno il Natale!

Ecco allora le promesse della politica di un rallentamento delle limitazioni: purché tutti si comportino bene. Altrimenti c’è il rischio di una “terza ondata” della pandemia. Se poi accadrà, la responsabilità sarà di chi si è lasciato andare e non ha rispettato le regole. Ma questo è un film già visto!

 Il rischio dell’allentamento delle regole

 Il rischio che già abbiamo paventato parlando di fatica da pandemia è che proprio dopo questa fase di limitazioni sarà ancora più difficile rispettare le regole. Perché ogni limitazione da quanto siamo abituati a fare per Natale sarà vissuta come intollerabile. Come un segno marcatamente negativo.

Questo perché vedremmo queste variazioni dei comportamenti come delle limitazioni.

E se, invece, questa fosse l’occasione per inventare un Natale diverso? Magari più vicino a quello che siamo noi, ai nostri desideri?

Proprio la pandemia potrebbe essere l’occasione per un atto di creatività. Non generico o fine a se stesso, ma vicino a quello che noi siamo.

 Non solo Natale

 Questa possibilità non riguarda solo il Natale, ma molte delle azioni personali e lavorative che mettiamo in atto. Spesso ci adeguiamo a dei modelli che in quanto tali rassicurano il nostro cervello alla ricerca dì costanza nella ripetitività. Ma sappiamo anche che questa ricerca di ritrovare “tutte le cose al loro posto” è densa di pericoli. L’adagiarci sulla ripetitività spesso non ci fa cogliere quello che sta realmente accadendo, o ce lo fa vedere con ritardo. Da qui nascono molti incidenti.

 Un’opportunità da non perdere

 Allora perché non approfittare di questo Natale 2020 per fare un esercizio di creatività, per guardare non al Natale come modello unico ma come il nostro personale Natale. Un Natale che le circostanze possono permetterci di costruire a misura di ognuno.

Come? Beh, perché non cominciamo a condividere idee. Come per ogni processo decisionale in tanti si è un po’ più lenti che da soli, ma il risultato è migliore. E poi l’obiettivo non è quello di immaginare un Natale uguale per tutti, ma aiutarci, pensando assieme, a trovare lo spunto per il  nostro Natale 2020.

Un esercizio che ci sarà utile per progettare, senza rimpianti per il passato, anche il nostro futuro

Chi volesse contribuire è invitato a farlo scrivendo il poprio commento.

Fatica da pandemia

Fatica da pandemia

Questo momento di diffusione del coronavirus è caratterizzato da una forte fatica da pandemia.

Incertezza

L’incertezza della situazione ne è la prima causa. Incertezza sulle modalità del contagio, sull’individuazione dei pericoli, sullo stesso vaccino, eccetera. Il nostro cervello tollera male l’incertezza tanto che preferisce funzionare ricercando un rapporto causa effetto certo e lineare. Questa è forse anche una ragione del successo mediatico di tanti esperti che forniscono interpretazioni “certe” su quello che sta accadendo. Paradossalmente noi preferiamo avere di fronte una risposta negativa piuttosto che vivere nell’incertezza.

Difficoltà nel cambiare routine

Il secondo aspetto riguarda la difficoltà che stiamo vivendo di cambiare le routine personali e di lavoro. Pensiamo all’utilizzo delle mascherine, della distanza pandemica (frase che preferisco a “sociale”), eccetera. Sono gesti che abbiamo imparato. Ma il fatto stesso che ci accorgiamo di metterli in atto indica che non sono automatici e richiedono un dispendio di energia.

Deformazione del senso del tempo

Infine la deformazione del senso del tempo che stiamo sperimentando in questa fase, e in maniere particolare chi si trova a lavorare da casa. Proprio in queste condizioni il tempo sembra a volte rallentarsi e a volte accelerare con modalità fuori dal controllo dei singoli. Si tratta di una deformazione significativa rispetto al rapporto con il tempo che siamo abituati a vivere e a gestire.

Effetti a medio e lungo termine

Due sono gli effetti più significativi di questa fatica da pandemia: la diminuzione della disponibile a seguire le regole e della solidarietà sociale.

La crescente intolleranza verso le regole di difesa dal contagio è un aspetto che non riguarda solo i negazionismi o soggetti che definiamo “irresponsabili”. Sembra trovare le sue radici nell’idea che “tanto non ci si può fare nulla” oppure che si è più forti del virus stesso. Aspetti legati alla componente angosciosa determinata dalla pandemia che può portare effetti negativi sulle stesse procedure anti Covid.

La diminuzione della solidarietà sociale ha trovato una prima manifestazione in coloro che hanno protestato per la chiusura delle loro attività economiche mentre altre sono rimaste aperte.  Lo vediamo ora, in modo più inquietante, nella indisponibilità manifestata in alcune zone italiane nel ricoverare nei propri ospedalieri malati provenienti da altri territori.

Si tratta di effetti che vanno intercettati per tempo perché potrebbero determinare contraccolpi nella diffusione della pandemia, ma anche un mutare dello stato delle relazioni sociali. Effetti che si protrarranno per un tempo ben più lungo del termine della pandemia. Una fatica da pandemia da non sottovalutare.

Sul tema si possono vedere tre brevi video andando al canale YouTube di StudioZuliani

Processi decisionali e pandemia

Processi decisionali e pandemia

Questa pandemia sta mettendo in luce alcune caratteristiche dei processi decisionali. Metterle in luce per imparare da quello che stiamo vivendo, per apprendere lezioni che possono essere utili per il futuro per prendere decisioni difficili.

La fatica decisionale

 Un aspetto che è sotto gli occhi di tutti si chiama fatica decisionale (decision fatigue). Si tratta di una fatica nel prendere delle decisioni che deriva dall’insicurezza. Di questi tempi non sapere esattamente quali siano le soluzioni migliori, le più adatte a combattere la pandemia.

Molti possono sperare che le cose si sistemino da soli: il virus sparirà! O che arrivi un vaccino che lo debelli velocemente.

A peggiorare le cose c’è il fatto che qui non stiamo prendendo decisioni relative a cosa mangiare questa sera, ma alla nostra stessa sopravvivenza. E l’urgenza legata all’ansia non aiuta.

In questi casi cresce il bisogno di raccogliere maggiori informazioni per poter alla fine decidere con certezza. Ecco allora l’ascoltare l’esperto di turno che spesso vive di maggior popolarità nella misura in cui le sue tesi sono più radicali e definitive. Il nostro cervello ama pensare che si sia sempre una soluzione semplice che non lo affatichi troppo. Non importa quanto negativa essa possa apparire: l’incertezza provoca una sofferenza spesso intollerabile.

La paralisi decisionale

Ma tutte le ricerche di informazioni e di notizie possono alla fine produrre l’effetto contrario. Ci possono portare alla paralisi decisionale. Proprio perché quando abbiamo troppe informazioni a nostra disposizione non sappiamo più che pesci pigliare. E qui si rischia di aprire un circolo vizioso: continuiamo a cercare nuove informazioni, a soffermarci anche su dettagli secondari, aumentando la fatica, l’indecisione e la paralisi. Se trasferiamo questo meccanismo dalla singola persona al gruppo possiamo arrivare a un blocco decisionale collettivo.

Una strategia che spesso utilizziamo in queste circostanze è quella del rinvio, dell’attendere che siano altri a decidere. Straordinaria soluzione che ci permette poi di dire “hai sbagliato, come hai fatto a non capire, io avrei fatto in un’altra maniera!”.

Salvo poi che la situazione spesso non si risolve da sola e le decisioni si devono prendere, e quelle prese all’ultimo istante sono spesso quelle più pericolose e dense di possibilità di errore.

Rompere la paralisi decisionale

 Torneremo sul tema. Qui soffermiamoci su una proposta che può essere utile per rompere la paralisi decisionale e migliorare i processi decisionali. Scrivete su dei foglietti le diverse decisioni da prendere e poi pescatene uno (se le alternative sono solo due potere usare anche una moneta con il classico testa o croce). Affidarsi quindi solo alla sorte? No! Mentre state pescando il bigliettino ascoltate dentro di voi quello che vorreste uscisse. Almeno sarete consapevoli di quello che è il vostro desiderio interiore e valutatene l’importanza. Perché, in ogni caso, sarà lui a guidare i nostri processi decisionali: saperlo può aiutare almeno a non ingannarci.

Causalità sistemica e covid

Causalità sistemica e covid

Perché parliamo di causalità sistemica e covid? Perché la diffusione della pandemia ha molte caratteristiche sistemiche, cioè concause che la determinato. Mentre noi stiamo cercando prevalentemente cause dirette. La movida, i trasporti, l‘orario dei locali, le scuole: chi più ne ha, più ne metta.

Ma appare evidente che questo inseguire singole cause non è efficace e crea sconcerto e divisione. Divisione perché ogni categoria sociale o economica implicata nelle strategie volte a ridurre una singola causa si ribella. Non solo si rifiuta di essere indicata come “colpevole”, ma non ne vuole pagare il prezzo.

 Causalità diretta e cervello

 Si privilegiano queste scelte per una carenza di visione e perché il nostro cervello è sedotto dal bisogno di ritrovare dei rapporti causa effetto diretti.

Fin da piccoli abbiamo imparato che c’è un rapporto causa effetto diretto. Se spingo un giocattolo, rotola più in là. Se ho sete e bevo un bicchiere d’acqua, la sete si attenua. In questo modo è tutto semplice e lineare: non devo affaticarmi a capire e a cercare soluzioni più complesse.

Invece appare del tutto evidente che c’è una rapporto di causalità sistemica e covid. Tra le concause ci sono i trasporti (il virus non viaggia da solo), l’organizzazione della sanità, i comportamenti umani. Ma anche l’equilibrio tra salute ed economia o la disuguaglianza sociale di fronte agli effetti della pandemia.

Troppi fattori per le nostre semplificazioni causa effetto: per la nostra continua ricerca di cause dirette.

Causalità sistemica come prospettiva

 Certo non è facile cambiare improvvisamente un modo di pensare. Non è facile ragionare secondo i principi della causa sistemica. Abbiamo cercato di evitare di farlo di fronte ad altri temi come quello del riscaldamento globale. Ma questa pandemia, proprio per la sua globalità può essere l’occasione per avviare una seria riflessione sul fatto che se ricerchiamo il rapporto tra causalità sistemica e covid possiamo fare un progresso decisivo per il futuro di tutti noi.

Forse ai nostri predecessori, qualche migliore di anni fa, bastava comprendere che un fruscio nella foresta poteva segnalare (causa diretta) la presenza di un predatore. Ora le cosa sono cambiate, ma il nostro cervello continua a cercare cause dirette tra gli eventi che incontra. Forse è venuto il momento di fare la fatica che occorre per provare a comprendere e affrontare le cause sistemiche degli eventi. Lavorare sulla causalità sistemiche e covid ci è utile per combatterlo, ma non solo.

Ogni stadio per i suoi tifosi

Ogni stadio per i suoi tifosi

Ogni stadio per i suoi tifosi, così dovrebbe essere. Invece qui si parla di numeri e di percentuali sena considerare che le forme del “tipo” da stadio variano.

Variano non solamente tra sport e sport, ma anche all’interno delle stesse persone che si recano allo stadio.

Ogni stadio per  i suoi tifosi

Di questo parliamo con Francesco Davalli in un primo articolo pubblicato nel sito di ANDeS (Associazione Delegati della Sicurezza degli stadi di calcio).

Questo articolo ha il titolo Aprire gli stadi: approcci diversi per tifosi diversi“.

A questo articolo ne seguiranno altri allo scopo di proporre una chiave di lettura attenta alle singole realtà. Forse da questa pandemia possiamo anche apprendere che le soluzioni ai problemi organizzativi non sono solo nei numeri, ma anche nella loro corretta interpretazione. Solo così potremmo pensare di organizzare ogni stadio per i suoi tifosi

 

 

Reciprocità

Reciprocità

Sul sito di ConfProfessioni è uscito un nostro articolo sul meccanismo della reciprocità che ci spinge ad acquistare un prodotto perché ce lo hanno fatto assaggiare.

La reciprocità è un meccanismo individuato da Robert Cialdini. Secondo Cialdini quando qualcuno compie un gesto gentile nei nostri confronti, ci sentiamo in dovere di contraccambiare. Di qui la spinta ad acquistare una confezione di quei biscotti che una gentile signora ci ha fatto assaggiare al supermercato. Da questo punto di vista la reciprocità appare come un meccanismo pericoloso per la nostra libertà.

 Reciprocità come opportunità.

Ma la reciprocità non è solo un meccanismo dal quale guardarsi per evitare di sentirsi in debito con gli altri. Si tratta anche di un principio che ha permesso all’umanità di sopravvivere. I nostri antenati hanno imparato, infatti, l’utilità di spartirsi cibo, abilità e competenze all’interno di un intreccio di obblighi reciprocamente in seguito anche codificati.

 Reciprocità e Covid.

In questa fase dell’emergenza Coronavirus stiamo sperimentando la forza di questo principio. Indossare una mascherina è un potente segno di attenzione e gentilezza verso gli altri e fa scattare (reciprocità) la stessa attenzione nei nostri confronti. Lo possiamo vedere lungo le strade: se indossiamo correttamente la mascherina, facilmente chi incrociamo sarà spinto a fare lo stesso.

 Reciprocità e sicurezza.

Proprio l’esperienza che stiamo vivendo attraverso le misure “gentili” di protezione reciproca per la pandemia ci indicano una strada poco esplorata. Progettare gesti di attenzione e gentilezza reciproca che mostrino il nostro interesse per la sicurezza altrui. Questo spingerà l’altro, sulla sita del bisogno di contraccambiare, ad assumere atteggiamenti corrispondenti. Non certo a imitare direttamente i nostri: non è questo l’obiettivo. Ma a entrare attivamente in quel meccanismo di reciproco sostegno che, come abbiamo visto precedentemente, è stato alla base dello sviluppo dell’umanità.

La reciprocità non è solo una trappola, ma una strada per lo sviluppo della sicurezza reciproca. Come attivante progettarla è il risultato della collaborazione tra psicologi e responsabili della sicurezza aziendale.