Tempi di reazione e guida

Tempi di reazione e guida

Tempi di reazione e consapevolezza situazionale: la guida di un’automobile.

 

Spesso si pensa che i tempi di reazione siano fondamentali per una guida sicura, questo è vero solo in parte: occorre anche una pronta consapevolezza situazionale.

Tempi di reazione

I tempi di reazione sono fondamentali in molte discipline. Gli atleti, quando si pongono ai blocchi di partenza per la gara dei 100 metri sanno che il loro tempo di reazione allo sparo sarà molto importante per l’esito della prova. Si allenano per reagire al meglio sia fisicamente sia mentalmente sapendo benissimo che se staccassero i piedi dai blocchi meno di 1/10 di secondo dallo sparo la loro partenza sarebbe considerar falsa, perché non è possibile una reazione così rapida.

Guida e tempi di reazione

Possiamo ora all’esperienza di guida di un veicolo. Ritenere di poter avere tempi di reazioni paragonabili a quelli degli atleti è impensabile perché la condizione del guidatore è del tutto diversa almeno per due motivi.

In primo luogo, gli atleti sanno precisamente che dopo il “pronti” ci sarà lo sparo e sono concentrati su questo evento: sanno che ci sarà e tutta la loro attenzione è concentrata su questo. Cosa che non può avvenire per un guidatore che tutto si aspetta, meno che di dover reagire il più velocemente possibile proprio in quel determinato momento.

In secondo luogo, il guidatore non sa a quale stimolo dovrà rispondere rispetto a tutti quelli che in quel momento sono presenti nel suo campo visivo e auditivo: sulla strada non si sa mai quale sia la fonte di un possibile pericolo.

Fortunatamente l’abitudine alla guida attiva degli automatismi utili. Ad esempio, se si accendono le luci di stop della auto che precede lo stimola alla frenata è in qualche modo automatico. Ma, a parte tutti gli elementi di distrazione presenti, i pericoli non vengono solo da situazioni già note.

La guida sicura

Il vero problema per una guida sicura non è riducibile ai soli tempi di reazione al pericolo (che spesso vengono indicati in circa 1 secondo), ma nello sviluppare una consapevolezza situazionale rispetto a cosa sta avvenendo in quel momento, tale da permettere di individuare la situazione dalla quali può scaturire il pericolo stesso. La reazione, che poi si traduce nei fatidici tempi di reazione, può scattare solo dopo che si è attivata la necessità di reagire al palesarsi di un pericolo. Pericoli che possono essere insiti in numerose situazioni: la condizione della strada, quella del veicolo, fino alla personale situazione fisica ed emotiva.

Sviluppare questa consapevolezza situazionale è un grande segno di maturità di una persona che non desidera scherzare con la propria e l’altrui incolumità.

Abitudini per la sicurezza

Abitudini per la sicurezza

Un’abitudine è una routine che viene svolta in modo automatico. Proprio nelle “cattive” abitudini si ritrovano le cause di molti incidenti sul lavoro.

Non è semplice incidere sulle cattive abitudini, ma, forse il tema rischia di essere proposto in modo infelice: più efficace porsi l’obiettivo di lavorare per favorire le “buone” abitudini.

La radice delle abitudini

Le abitudini sono la scorciatoia per risolvere un problema che si presentato in precedenza. In questo modo il cervello può essere aiutato a prevedere cosa succederà nel futuro e trovare la soluzione più adeguata.

Una strategia che riduce il carico mentale del quale ci siamo già occupati.

Il consolidamento di un’abitudine

Sono spesso piccoli passi che arrivano a consolidare un’abitudine. Passi così piccoli che può risultare difficile comprendere il valore del progresso nel peggioramento, che poi porta a un incidente.

Anche il miglioramento deriva da questi piccoli passi. Ci vuole tempo e costanza nell’osservazione di quello che sta accadendo.

Per un percorso di miglioramento

Il punto di avvio sta nel considerare la sicurezza come un percorso, una traiettoria più che un risultato unico e immediato.

Nella misura in cui il conseguimento della sicurezza è l’obiettivo principale, occorre considerare i metodi migliori per conseguirlo, spingendo al consolidamento di abitudini più efficaci.

La proposta di un metodo

Il successo nella sicurezza sul lavoro è determinato da piccoli e coerenti cambiamenti quotidiani, ecco perché, nel nostro approccio, suggeriamo che ogni giorno il preposto, prima dell’avvio del lavoro, riunisca il gruppo di lavo per raccogliere e suggerire miglioramenti relativi alla sicurezza e per ricordare la la sicurezza è un processo, che si raggiunge con a compartecipazione di tutta la squadra.

Cervello e memoria

Cervello e memoria

Cervello e memoria.

Dopo aver affrontato i rapporti e le differenze tra cervello e mente, torniamo parlare di memoria e dei suoi rapporti con il cervello. La memoria è importante perché raccoglie informazioni e le mette a disposizione del cervello.

Informazioni che hanno a che fare con le nostre esperienze e con le ipotesi che traiamo da quello che percepiamo accadere attorno a noi.

Ecco allora che la memoria influenza il cervello nell’elaborare le informazioni circa tutto quello che ci circonda all’interno di un processo di crescita esponenziale.

Memoria come processo continuo

Si tratta di un processo continuo per cui noi continuiamo ad apprendere dalla nostra stessa memoria.

La memoria degli eventi è essenziale. Pensiamo alla stessa sicurezza sul lavoro: se non facciamo in modo di ricordare un incidente e le sue dinamiche, lo stesso più facilmente si ripeterà. Si tratta di una memoria sia collettiva, sia individuale.

Favorirne il ricordo è essenziale, per cui, ad esempio, è fondamentale che prima di un turno di lavoro il preposto riunisca i colleghi per ricordare assieme le procedure di lavoro, le soluzioni possibili rispetto a ciò che può accadere, in  specie se si tratta di novità.

Dal sovraccarico delle informazioni a un nuovo design del mondo

Questo senza inquietare o sovraccaricare le informazioni. Perché le informazioni rischiano, se troppe, di essere cancellate. Tanto più oggi, visto che in questi ultimi anni abbiamo sovraccaricato la memoria di informazioni che poi rischiano di confondersi e di sovrapporsi.

Ecco perché, anche per gli orientamenti spaziali, essenziali per muoverci negli spazi o per evacuare una zona, abbiamo richiamato l’esigenza di sostenere la costruzione dell’essenziale mappa mentale che sta alla base del nostro padroneggiare lo spazio.

Quello che proiettiamo nei ricordi è molto limitato e la possibilità di trovare nuove soluzioni è molto bassa a meno di favorire una ricerca interdisciplinare di una sorta di design del mondo sempre più a nostra misura. Un design concettuale che è al centro di quello che noi chiamiamo essere protagonisti del cambiamento.

Sbagliando si impara

Sbagliando si impara

La paura di sbagliare di cui abbiamo già parlato, porta all’indecisione di fronte a qualsiasi scelta: per non sbagliare, continuiamo a rinviare.

L’errore è inevitabile

Se l’errore è inevitabile, l’atteggiamento che assumiamo di fronte ad esso è fondamentale. In questa direzione è fondamentale liberarsi dalla tendenza a ipergeneralizzare: a pensare che sbaglieremo “sempre”.

In questo senso è importante l’atteggiamento che assumono le altre persone, in specie durante la prima infanzia e la scuola. Piccole prese in giro e commenti spiacevoli sono decisivi. Messaggi che indicano che siamo un “fallimento”, che “siamo dei somari” ci forniscono la spiacevole impressione di esserlo veramente. 

Dobbiamo accattare l’idea che, al di là degli errori che il fatto stesso di agire porterà con sé, ci saranno anche dei successi.

L’ossessione della prestazione

Questo porta all’ossessione della prestazione, vissuta come condizione necessaria per essere apprezzati e accettati dalla società, senza tollerare la minima incertezza sul lavoro, né in qualsiasi altro ambito.

La sfida per i perfezionisti consiste nell’accattare e integrare una parte di errore nelle loro vite. Per farlo, devono capire che lo loro intolleranza all’errore si applica solo a loro stessi, ed è decisamente sproporzionata.

Errore e azione

Nella misura in cui l’errore è indissociabile dall’azione, ogni azione può portare all’orrore. Ecco allora che l’unico modo per non sbagliare è non fare nulla.

Il fatto di commettere un errore non comporta un verdetto definitivo sulle nostre capacità, sui nostri desideri. Agite, provate, progredite! Questo è il mantra da ripetere senza sosta.

Gli studi lo confermano: i rimpianti peggiori che ci portiamo dietro per tutta la vita non riguardano azioni dall’esito negativo, ma quelle non intraprese per paura di sbagliare.

Osservare l’imprecisione

Le imprecazioni fanno parte della vita. Osservare che gli altri commettono errori non è “magra consolazione, ma ci permettono di capire che tutti li commento e che il giudizio non è buoi così negativo neppure per i nostri errori.

Come possiamo imparare dagli errori

É necessario restituirci la possibilità di commette errori. Non concederci questo diritto significa aprire le porte alla fobia e all’ansia. Per trovare l’atteggiamento giusto è dunque consigliabile adottare una prospettiva di scoperta perché questa è la vera funzione dell’errore: quella di guidarvi sul cammino che porta alla conoscenza di noi stessi.

La conoscenza di no stessi procede in gran parte per prove ed errori. Gli errori possono essere difili da digerire, spesso invece é necessario é importante cambiare strada quando si finisce in un circolo cieco.

Secondo questa prospettiva, i nostri errori dovrebbero essere considerati non come porte che si chiudono, bensì come la possibilità di vedere strade che rimangono aperte e che dobbiamo tentare di approfondire. Naturalmente bisogna saper insistere e non cambiare strada al primo ostacolo.

La paura di sbagliare

La paura di sbagliare

Il nostro cervello impara dagli errori che ha commesso. Affermazione largamente nota e condivisa. Ciò nonostante, abbiamo paura degli errori: la paura di sbagliare ci attanaglia con conseguenze sia nella vita personale sia quella lavorativa, in modo particolare nel modo in cui affrontiamo il tema della sicurezza sul lavoro e le risposta alle situazioni critiche. In fondo pensiamo che la cosa non ci riguardi. In fondo è il cervello degli altri, caso mai, a commettere un errore.

Si tratta di un aspetto così centrale che abbiamo deciso di dedicarvi alcuni articoli che via via pubblicheremo.

Conseguenze dalla paura di sbagliare

La paura di sbagliare può divenire un’angoscia.  Spesso fonte di malessere, nervosismo e talvolta di fobie. La paura di sbagliare arriva a bloccare ogni azione, provoca situazioni di immobilità. Una immobilità che ci rende difficile correggere l’errore e ci toglie la possibilità di evolvere o creare qualcosa di nuovo. Se dall’errore si impara precludiamo al nostro cervello proprio questa possibilità.

In realtà accettare l’errore è il segno di un’evoluzione in corso, del desiderio tangibile di trovare una soluzione: di avere successo. Sbagliare equivale ad trovare le forza per reagire: la prima cosa da fare per evolvere è accettare questo dato di fatto.

Perché abbiamo paura di sbagliare

La paura di sbagliare è legata a un giudizio totalizzante su noi stessi, considerarsi una persona del tutto inutile e incapace per quello che psicologicamente definiamo «meccanismo di ipergeneralizzazione». Il meccanismo di ipergeneralizzazione è la tendenza a estrarre una regola universale partendo da un singolo evento. Le persone che ne soffrono vivono ogni errore come un segno della loro generale incapacità.

La sfida è riuscire a dire: «Ho commesso uno sbaglio», non «Ho sbagliato tutto».

Non solo una sfumatura

La differenza di atteggiamento che assumiamo è fondamentale perché nel primo caso siamo spini a giudicare ogni singola azione, mentre nel secondo l’oggetto della critica è la persona nel suo insieme.

Ricordi per la sicurezza

Ricordi per la sicurezza

Quando accade un incidente sul lavoro o si manifesta un errore all’interno di una procedura siamo indubbiamente spinti a ricordare ciò che è avvenuto.

Ricordare è importante per evitare che l’evento si ripeta o per trovare delle soluzioni per migliorare la sicurezza sul lavoro e le relative procedure.

 Attendibilità dei ricordi

 Evidentemente l’attendibilità di questi ricordi diventa essenziale per le azioni di miglioramento da mettere in atto. Ma questi ricordi sono veramente attendibili?

La comunità scientifica si è interrogata a lungo su questo tema, offrendo delle risposte che possono essere utili per mettere in atto le modalità più efficaci per raccogliere questi ricordi al fine di alimentare azioni di miglioramento.

 Migliorare la raccolta dei ricordi

 In sintesi, possiamo dire che coloro che si pongono l’obiettivo di raccogliere la parte positiva di questi ricordi è bene che tengano in considerazione che:

  • i ricordi si presentano spesso collegati l’uno con l’altro, anzi un evento richiama facilmente alla memoria qualcosa di simile già accaduto in precedenza. Un collegamento che va sempre preso in considerazione perché il legame che il nostro cervello fa dei ricordi può anche risultare negativo nella direzione di ritenere che se una cosa è accaduta ci si aspetta sempre che ne accada un’altra conseguente: è questo il pericolo da evitare;
  • in questa direzione può essere utile rafforzare questi legami nella misura in cui possono indurre le persone a comportamenti più adeguati. Senza temere di accettare la paura che, come è importante ricordare, funziona da attivatore di risposte positive e protettive, sempre che le persone siano debitamente formate su come comportarsi;
  • un altro aspetto da prendere in considerazione è quello che possiamo chiamare il tempo del “buon ricordo”. Ovvero considerare che dopo poche ore o pochi giorni i ricordi svaniscono o perdono di significato: quindi un’indagine, per fornire un esito positivo, deve essere svolta in tempi molto vicini all’evento accaduto;
  • anche l’età di chi ricorda è importante, perché le persone con il passare dell’età tendono a ricordare meno quello che è accaduto rispetto alle persone più giovani.

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