Pensiero controfattuale

Pensiero controfattuale

Il pensiero controfattuale, spesso presente a causa di una situazione di emergenza e del Disturbo Acuto da Stress si riferisce alla capacità di immaginare condizioni contrarie alla realtà di fatto

Pensiero controfattuale e realtà

Confrontare ciò che è accaduto con ciò che sarebbe potuto accadere è un’attività frequente nella vita quotidiana.

Risulta utile nel processo di spiegazione e valutazione degli eventi e viene attivato anche per piccole cose del tipo “Se avessi comprato B invece di A, avrei risparmiato”.

Di fronte ad un avvenimento molto doloroso questo pensiero è molto forte e la tendenza a paragonare situazioni e ipotesi diverse aumenta notevolmente del tipo “Se quel giorno non fosse successa quella cosa, ora non mi troverei in questa situazione”.

Pensiero controfattuale e dolore

Il ricordo doloroso, se troppo spesso stimolato, può portare a questo tipo di pensiero (si fantasticano ipotesi differenti rispetto a quando è successo e si finisce per crederci). La tendenza a rimuginare favorisce il rimanere invischiati in questo circolo vizioso.

In altre situazioni entra in gioco il senso di colpa che riguarda il comportamento avuto durante l’emergenza, in specie quando la persona ha la sensazione di essersi occupata della propria salvezza di un’altra persona.

Qui non si tratta di situazioni collegate alla sfera dell’immaginario, ma a concreti comportamenti che la persona può aver assunto in queste circostanze e di cui ha vergogna: avere pensato solo alla propria salvezza, non avere fatto un determinato gesto, essere fuggita, e così via.

Come contrastare il pensiero controfattuale

Di fronte a queste situazioni ricordare genericamente che a chiunque può accadere di comportarsi in questi modi è utile, ma non sufficiente.

Sembra più opportuno assumere un atteggiamento di calda comprensione dei sentimenti provati e della sofferenza che comportano ed evitare di riportare l’attenzione su quanto è accaduto se non lo fa l’interessato.

Può essere opportuno ricordare che questo pensiero arriva ad assumere anche una certa utilità. Essere vittima di un evento critico fornisce un senso di impotenza e di paura paralizzante: la persona si sente come proiettata in un mondo nel quale tutto appare governato da situazioni impreviste e incontrollabili.

Vantaggio secondario

Riprendere su di sé una parte della responsabilità ha il significato di recuperare un certo grado di controllo sulla situazione che restituisce un ruolo attivo e permette di predisporre strategie di adattamento a quanto è avvenuto.

Aiuta a superare il senso di impotenza, che altrimenti governerebbe ogni pensiero e che proietterebbe un’ombra inquietante anche su di un futuro predominato dalla passività e dall’impossibilità di controllare gli eventi.

Le reazioni dopo un evento disastroso

Le reazioni dopo un evento disastroso

In un post precedente ci siamo soffermati a riflettere su chi siano le vittime di un’emergenza, perché per tutti va pensato un debito supporto.

Ora vediamo quali sono le reazioni attese dopo che l’evento è accaduto.

Paura che l’evento si ripeta.

La “paura” è una normale risposta adattiva che può salvare la vita. Può spingere ad esprimere le proprie sensazioni, a chiedere di essere aiutati, a reagire per riacquisire il senso di controllo sulla propria vita.

La paura può cristallizzarsi ad ogni possibile segno premonitore del ripetersi dell’evento negativo, come ci insegna l’esperienza della pioggia in Emilia.

Questa paura non va trascurata, ma compresa; è meglio attrezzarsi ad affrontarla già nella pianificazione del soccorso.

Ad esempio, può essere utile che le persone partecipino all’opera di verifica dell’agibilità delle abitazioni, ma anche degli edifici pubblici. Questo coinvolgimento può aiutare i genitori a rimandare i figli a scuola, nella misura in cui partecipando alla “verifica” vivono una sorta di rito di riposizionamento dell’edificio in un’area cognitiva ed affettiva di sicurezza a cui riaffidare i propri figli.

Rabbia

La rabbia molto intensa è una seconda reazione. Rivolta in modo particolare verso i veri o presunti responsabili.

La persona utilizza la propria rabbia per difendersi dall’immensa tristezza e dalla disperazione. Come se la richiesta di punizione dei presunti responsabili possa arrivare a cancellare l’evento stesso.

È importante non reprimere queste manifestazioni, ma anche non rispondere con frasi quali: “non puoi farci nulla, la tua rabbia è inutile”. Analogamente non è opportuno rispondere alla rabbia con la rabbia.

Senso di colpa

All’interno del processo di sviluppo personale la colpa rappresenta uno degli strumenti a disposizione della persona per aiutarla a capire se ciò che fa o pensa è giusto o sbagliato.

Senso di colpa che può interessare, appunto, i propri comportamenti, e rappresenta un segno di buona socializzazione e di adattamento alle norme morali ed etiche del gruppo di appartenenza, a patto che i movimenti che ne scaturiscono siano adattativi alla realtà: in altre parole spingano all’azione riparativa in maniera realistica.

Senso di colpa per essere sopravvissuti (detta colpa da sopravvivenza) è una particolare forma di colpa che si sviluppa quando un soggetto assiste alla morte di una persona amata, rimanendo illeso. Si tratta di una reazione psicologica e somatica caratterizzata da ansia, depressione per essere vivi mentre altri sono morti. Si accompagna spesso con il ritiro dalla vita sociale, la perdita di iniziativa, la presenza di disturbi del sonno con incubi.

Appare molto difficile riuscire ad attribuire la responsabilità dell’accaduto al caso (che spesso ha un ruolo predominante) perché questo contrasta con il bisogno delle persone di dare sempre un senso agli eventi.

Inibizione dei sentimenti

Se appare del tutto accettabile il fatto di incontrare una persona che si sta disperando di fronte ad un evento tragico, risulta più arduo comprendere le reazioni di estraneità, l’assenza di partecipazione e/o di manifestazione di dolore. A volte il soggetto non appare addolorato, sembra distaccato da quanto è avvenuto, altre volte manifesta un’attività esagerata, del tutto inidonea all’evento in atto. Si tratta del tentativo di inibire un dolore di fronte alla perdita subita, sentito come troppo forte e capace di procurare danni enormi.

Confusione e stordimento cognitivo

La persona può presentarsi immobile, inebetita, apatica e sostanzialmente indifferente a ciò che la circonda. Si tratta di una difesa atta a permetterle di non affrontare subito un’esperienza traumatica. È come se la persona avesse bisogno di un certo lasso di tempo per lasciare che la realtà penetri dentro di se, per poterla vedere.

Alla stessa stregua vanno considerate le alterazioni sensoriali che si possono manifestare durante la fase di impatto, come la visione a tunnel e l’esclusione auditiva, che mantengono l’attenzione solamente sulla fonte del pericolo rendendo difficile vedere la possibile via di fuga o anche sentire le indicazioni che provengono dai soccorritori.

Sconforto per la propria vulnerabilità

La vulnerabilità fa parte della vita, anzi ne è una scomoda comprimaria.

Quando viene messo in gioco il tema della vulnerabilità sociale o personale scattano reazioni non più legate alla semplice paura (che è un buon meccanismo di difesa contro il pericolo), ma all’angoscia. Questo è il sentimento paralizzante di chi si sente di fronte ad un pericolo “indeterminato”, che può essere dovunque e può colpire in qualsiasi momento.

Il tema delle vulnerabilità è sempre più evidente in questi ultimi anni e le persone hanno cominciato a guardare al futuro con un senso fino ad ora ignoto di intima angoscia.

Dolore per le perdite subite

Coloro che vivono una situazione d’emergenza si trovano spesso a compiere un grande sforzo per sopportare senza soccombere sentimenti devastanti legati al dolore per le perdite subite. Un percorso denso di insidie che, però, può trovare un esito liberatorio come nello splendido film “Tre colori: Blu” di Kieslowski.

Persone ed emergenza

Persone ed emergenza

Di fronte a una situazione di emergenza le persone hanno alcune esigenze rispetto all’evento e a come comportarsi.

Si tratta di un problema complesso sul quale offriamo alcune riflessioni , sulle quali sembra utile aprire un confronto.

Tempestività

La tempestività dell’informazione su cosa sta accadendo é l’aspetto fondamentale.

Affidabilità della fonte

Questo si collega al tema dell’ affidabilità. Un’affidabilità che non nasce dal singolo evento, ma si costruisce nel tempo. Un’affidabilità che si costruisce nella misura che riguardar ogni aspetto di interesse per i cittadini e, infine, la verifica della correttezza, nel tempo, delle informazioni fornite.

La comprensione del linguaggio

Il linguaggio degli esperti non è sempre adeguato, anche perché l’esperto segue una sua logica mentale.  Spesso si pone come “guida”, come colui che si pone come un maestro che fornisce indicazioni a persone considerate inesperte. Un po’ come fa Virgilio con Dante di fronte agli inferi.

Le parole difficili (le parole non sono mai neutrali) possono determinare un blocco nella comprensione dell’intera frase perché il destinatario del messaggio rimane accorato alla parola ignota e perde la sequenza di quelle seguenti. In questi casi è bene attenersi alla regola del KISS (Keep It Short and Simple): rimani breve e semplice. Come scrisse Antoine De Saint Exupéry “la perfezione viene raggiunta non quando non vi è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più nulla da togliere”.

Condivisione del percorso

Caratteristica di un’esperienza condivisa é quella di permettere alle persone di sentirsi protagonisti delle scelte. Tra le modalità di condivisione è importante prendere in considerazione i gruppi social. Un luogo nel quale molto degli aspetti sopra citati sono in questo modo avvalorati dagli stessi partecipanti. Questo aspetto può essere identificato con ciò che viene definito come “amicizia”.

Ma, in questo caso la stessa parola “amico” cambia di significato perché non si tratta di un’amicizia che non si costruisce nel tempo, ma un’amicizia che si richiede.

Questo significa che si tratta di un amico che non si conosce, che non é il risultato di un percorso condiviso, di un camminare assieme.

Uno strumento da studiare per non confonderlo con la sua utilizzazione.

Mappa mentale

Mappa mentale

Torniamo sul tema di come il cervello costruisca una mappa mentale dell’ambiente. Questo è rilevante per i temi della sicurezza sul lavoro e delle risposte alle situazioni critiche. Ma la cosa è importante perché si tratta meccanismi che ci permettono di orientarci e di spostarci da un luogo a un altro.

Mappa mentale

La mappa mentale è la rappresentazione interna che ci facciamo, con il passare del tempo, di un qualsiasi ambiente frequentato, e ha la funzione di dare un significato alla complessità delle informazioni ambientali e di facilitare i nostri comportamenti spaziali.

Mappa mentale per orientarci

La mappa mentale è costituita dai percorsi che, in base all’esperienza acquisita, ci aspettiamo di incrociare per raggiungere un determinato luogo. Si tratta degli elementi percettivi più rilevanti che ci attendiamo di trovare sul percorso e degli ostacoli che pensiamo di dover superare.

Come si forma la mappa mentale

Per costruirci la mappa mentale di un qualsiasi ambiente procediamo sostanzialmente nel modo seguente: fissiamo dapprima dei capisaldi di riconoscimento, che siano in grado di scandire i percorsi, e poi arriviamo ad estendere la nostra conoscenza ai percorsi e, infine, possiamo concentrarci sui dettagli.

Come se avessimo nella nostra mente un foglio di carta sul quale sono tracciate le linee fondamentali per l’orientamento. Ma si tratta di una carta topografica molto imperfetta che somiglia più ad un documento geografico medioevale piuttosto che alla piantina di una città moderna.

Mappa mentale e landmarks

Un aspetto fondamentale è rappresentato dai landmarks, che possiamo definire come dei veri e propri marcatori del territorio. Si tratta di elementi fisici percettivamente evidenti e facilmente identificabili. Rappresentano dei veri punti di riferimento. Sono, quindi, nodi del percorso molto significativi, che ci permettono di decidere come muoversi e che, una volta acquisiti, difficilmente vengono modificati.

La stessa memorizzazione di un percorso è correlata non tanto alla sua lunghezza, ma dalla presenza dei landmarks di questo tragitto.

Visivamente può trattarsi di un “edicola di giornali” o di una “fotocopiatrice”. È quello il punto di riferimento: li si svolta.

Nel campo dell’emergenza sono gli elementi fondamentali che utilizziamo a fronte alla necessità di un’evacuazione.

Modifiche delle mappe mentali

Man mano che queste mappe si consolidano ogni cambiamento se non attentamente studiato e condiviso potrà creare problemi sia di comportamento (molti soggetti tenderanno a percorrere strade note, anche se sono state chiuse), sia affettivi (giacche ogni cambiamento va a rompere una struttura rassicurante).

I landmarks e le relative mappe mentali che ne scaturiscono vanno studiati in modo interdisciplinare  e condiviso al fine di garantirne leggibilità e rassicurazione.

Torniamo sul tema di come il cervello costruisca una mappa mentale dell’ambiente. Questo è rilevante per i temi della sicurezza sul lavoro e delle risposte alle situazioni critiche. Ma la cosa è importante perché si tratta meccanismi che ci permettono di orientarci e di spostarci da un luogo a un altro.

Mappa mentale

La mappa mentale è la rappresentazione interna che ci facciamo, con il passare del tempo, di un qualsiasi ambiente frequentato, e ha la funzione di dare un significato alla complessità delle informazioni ambientali e di facilitare i nostri comportamenti spaziali.

Mappa mentale per orientarci

La mappa mentale è costituita dai percorsi che, in base all’esperienza acquisita, ci aspettiamo di incrociare per raggiungere un determinato luogo. Si tratta degli elementi percettivi più rilevanti che ci attendiamo di trovare sul percorso e degli ostacoli che pensiamo di dover superare.

Come si forma la mappa mentale

Per costruirci la mappa mentale di un qualsiasi ambiente procediamo sostanzialmente nel modo seguente: fissiamo dapprima dei capisaldi di riconoscimento, che siano in grado di scandire i percorsi, e poi arriviamo ad estendere la nostra conoscenza ai percorsi e, infine, possiamo concentrarci sui dettagli.

Come se avessimo nella nostra mente un foglio di carta sul quale sono tracciate le linee fondamentali per l’orientamento. Ma si tratta di una carta topografica molto imperfetta che somiglia più ad un documento geografico medioevale piuttosto che alla piantina di una città moderna.

Mappa mentale e landmarks

Un aspetto fondamentale è rappresentato dai landmarks, che possiamo definire come dei veri e propri marcatori del territorio. Si tratta di elementi fisici percettivamente evidenti e facilmente identificabili. Rappresentano dei veri punti di riferimento. Sono, quindi, nodi del percorso molto significativi, che ci permettono di decidere come muoversi e che, una volta acquisiti, difficilmente vengono modificati.

La stessa memorizzazione di un percorso è correlata non tanto alla sua lunghezza, ma dalla presenza dei landmarks di questo tragitto.

Visivamente può trattarsi di un “edicola di giornali” o di una “fotocopiatrice”. È quello il punto di riferimento: li si svolta.

Nel campo dell’emergenza sono gli elementi fondamentali che utilizziamo a fronte alla necessità di un’evacuazione.

Modifiche delle mappe mentali

Man mano che queste mappe si consolidano ogni cambiamento se non attentamente studiato e condiviso potrà creare problemi sia di comportamento (molti soggetti tenderanno a percorrere strade note, anche se sono state chiuse), sia affettivi (giacche ogni cambiamento va a rompere una struttura rassicurante).

I landmarks e le relative mappe mentali che ne scaturiscono vanno studiati in modo interdisciplinare  e condiviso al fine di garantirne leggibilità e rassicurazione.

Vittime dell’emergenza

Vittime dell’emergenza

Vi sono degli eventi in grado di determinare nelle persone una pesante preoccupazione al punto da determinare a delle reazioni fisiche ed emotive di notevole portata sono molte.

Solitamente essi sono improvvisi ed inaspettati, travolgono l’usuale sensazione di poter controllare gli eventi esterni e la portata delle emozioni vissute.

Anche se l’esperienza dell’Emilia Romagna ci insegna che l’emergenza sta entrando in noi come esperienza quotidiana e i cui segnali sono “nell’aria”, o meglio nelle condizioni atmosferiche di cui abbiamo continuamente esperienza.

Parliamo di momenti “di grande orrore, con la sua angoscia improvvisa, è come trovare una cosa preziosa che caduta è andata in frantumi. Si possono raccogliere i pezzi di quel momento, cercare di capire come rimetterli insieme e poi incollarli con cura per ricostruire l’originale. Alla fine, quel momento è ricostruito, ma non verrà mai più usato come prima. E’ al tempo stesso meno autentico e più significativo. Diventa qualcosa di nuovo. Porta con sé il ricordo di quello che era prima, ma non viene mai usato nello stesso modo” (Colum McCann).

Le potenziali vittime

Da questo punto di vista gli eventi critici che sono in grado di colpire, anche contemporaneamente, una persona possono essere molti e può essere utile ricordarle perché tutte le persone coinvolte richiedono un sostegno di tipo psicologico. Eccone un breve elenco:

  • chi ne subisce l’impatto, cioè coloro che sono direttamente colpiti dalla situazione, indipendentemente dalla gravità “oggettiva” della stessa;
  • i parenti e le persone care delle vittime, che si trovano a vivere uno sconquasso emotivo improvviso e devastante;
  • i soccorritori che per quanto tecnicamente preparati sono anche loro esposti alle sofferenze delle vittime;
  • la comunità coinvolta nell’evento, in specie se ad essere colpiti sono soggetti deboli e fragili, spesso indipendentemente del loro numero
  • persone non direttamente coinvolte, ma che, in qualche modo si identificano, avendolo a loro volta vissuto, a rivivere le sofferenze di allora, perché ne conservano una traccia psichica, speso non del tutto elaborata;
  • le persone che “potevano essere coinvolte”. A titolo, di esempio: una persona che rientrando dal lavoro viene ritardata, nel fallo, da un collega o da rallentamento del, traffico. Questo suo ritardo la salva dal crollo della palazzina nel quale perdono la vita i suoi cari. Come spiegarsi questo evento? Basta il ricorso al caso? O vivrà senso di colpa?

L’importanza del sostegno psicologico

Tutte persone delle quali è necessario occuparsi. Occorre ricordare che una persona patisce indipendentemente dal fatto di essere o meno la prima ad essere stata colpita ed è di questa sofferenza che appare necessario occuparsi.

Certamente le reazioni personali dipenderanno anche da altri fattori, tra i quali: la natura dell’evento, la personalità delle persone coinvolte, la forza della resilienza (vale a dire la capacità della persona di ritornare alla situazione precedente l’evento), le strategie di coping mese in atto e il supporto sociale a disposizione per farvi fronte, ma appare utile vedere che esistono delle situazioni comuni nelle quali è necessario occuparsi.

In qeusta direzione sono utili, a scopo preventivo, anche delle apposite esercitazioni di cui ci occupiamo in un apposito video.

 

Considerazioni sulla guerra e sull’uccidere

Considerazioni sulla guerra e sull’uccidere

La guerra è una realtà che attraversa tutta la storia dell’uomo, nonostante questa non sia un’esperienza “naturale”.

Come abbiamo scritto in un contributo predicente, siamo infatti tutti portati fin dall’esperienza da neonati all’altruismo, a condividere le sofferenze con l’altro.

 

Abbiamo quindi deciso di affrontare il tema della guerra da due versanti: come questa esperienza incida sia su chi la combatte, ma anche sulle sempre maggiori vittime civili e, infine, su coloro, spesso i familiari, si trovano a condividere le esperienze atroci con gli ex combattenti.

Contributi che si susseguiranno cercando di mettere in luce questi versanti di quel mondo folle che è la guerra: perché la guerra rende folli tutti i suoi protagonisti, diretti o indiretti.

 

Per questa ragione, i contributi ascolteranno voci diverse, perché le complessità hanno sempre bisogno di confronti per arrivare a delineare l’avvio di un quadro di riflessione di un certo spessore. Contributi che contiamo aprano un dibattito tra chi segue il nostro lavoro.

 

Il primo lavoro riguarda il vissuto psicologico dei combattenti e sui loro traumi, troppo spesso trascurati dal dibattito pubblico.

La mappa nella memoria

La mappa nella memoria

Molte volte la possibilità di una persona di poter uscire da una situazione di pericolo, pensiamo a esempio all’evacuazione di un edificio, dipende non solo da una corretta predisposizione di cartelli e indicatori, ma anche dalla sua capacità di orientarsi nello spazio. Per questo parliamo di mappa nella memoria

Questa dipende, in larga parte, dal fatto che una delle funzioni del cervello è quello di costruire, archiviare e usare delle proprie mappe mentali per questa finalità. Si tratta di modelli, a volte molto rozzi e approssimativi, dello spazio circostante che permettono di orientarsi all’interno di un ambiente, anche in luoghi complessi e mutevoli, prevedendo, alloccorrenza, la flessibilità necessaria a usare scorciatoie o deviazioni. Possibilità di straordinaria importanza quando una via di uscita nota e attesa, ad esempio nel corso di un’emergenza, appaia non utilizzabile.

 Questa costruzione di modelli, o creazione di mappe, si estende ben oltre lo spazio fisico. Ci sarebbero mappe mentali anche al cuore di molte altre capacità: la memoria, limmaginazione, il ragionamento astratto e persino la dinamica delle relazioni sociali.

Per rimanere nell’ambito del tema in esame è importante comprendere come fa il cervello a creare le mappe che gli permettono di orientarsi e di come tale processo possa essere favorito. Aspetto, questo, importante al fine di aumentare la sicurezza a fronte di una situazione di emergenza.

Cotruire la mappa nella memoria

Il cervello ha costantemente il compito di conoscere molte cose essenziali alla gestione della nostra posizione nello spazio. Da dove abitiamo, a dove lavoriamo, alla posizione del nostro negozio preferito. Luoghi che rintracciamo facilmente e verso i quali ci muoviamo velocemente e automaticamente. Pur non essendo del tutto chiarito il modo in cui organizziamo queste informazioni all’interno di una mappa coerente, sembra che il sistema ippocampo-entorinale sia un efficace disegnatore di queste mappe necessarie per localizzare noi stessi nello spazio, all’interno di una pianificazione attiva.

Un lavoro di pianificazione non è solamente un’attività consapevole, ma avviene anche nel sonno, quando sequenze di attività delle cellule di posizione si riattivano per riprodurre il passato o per simulare il futuro. Questa sorta di simulazione dei comportamenti spaziali è importante perché ci evita il compito gravoso di esplorare ogni volta molteplici alternative nel mondo reale prima di decidere quale azione intraprendere. Sarebbe una fatica immane con un ampio rischio di errore. Invece, questa sorta di simulazione offline ci permette di immaginare molte possibilità senza doverle sperimentare direttamente. In questo il sonno è un grande supporto.

Il ruolo del tempo e dello spazio

In questo complesso lavoro il tempo e lo spazio sono strettamente legati, come il nostro stesso linguaggio dimostra. Parliamo di un tempo che scorre, guardiamo «in avanti» al futuro e «indietro» al passato, e così via.

Gli stessi neuroni nel sistema ippocampo-entorinale codificano il decorso temporale dell’esperienza. Le cellule del tempo scaricano in momenti successivi, ma non segnano il tempo in modo semplice, come un orologio. segnano invece il contesto temporale, allungando o comprimendo la durata delle proprie scariche se, per esempio, varia la lunghezza di un compito. Ecco, infatti, che alcune cellule del tempo codificano anche lo spazio.

Le mappe non sono ritratti accurati del mondo in tutta la sua complessità. Piuttosto, sono rappresentazioni di relazioni, vale a dire distanze e direzioni tra posizioni, e tra ciò che esiste. Le mappe riducono una quantità vertiginosa di informazioni del mondo reale a un modello semplice, di facile lettura, utile per una navigazione efficace e flessibile.

I tipi di cellule citati in precedenza (cellule di posizione, cellule griglia, cellule dei confini) cucirebbero insieme questi elementi correlati in una mappa mentale che poi altre regioni cerebrali possono leggere per guidare la «navigazione», che sfocerà in una presa di decisioni adattativa. La mappa nella memoria permette di inferire relazioni, persino quando non sono state sperimentate. Permette anche alle scorciatoie mentali di andare oltre lambito dei domini spaziale e temporale.

 Bibliografia

 Social Place-Cells in the Bat Hippocampus. Omer D. B. e altri, in «Science», Vol. 359, pp. 218-224, 12 gennaio 2018.

Navigating Social Space. Schafer M. e Schiller D., in «Neuron», Vol. 100, n. 2,

  1. 476-489, 24 ottobre 2018.

What Is a Cognitive Map? Organizing Knowledge for Flexible Behavior.

Behrens T.E.J. e altri, in «Neuron», Vol. 100, n. 2, pp. 490-509, 24 ottobre 2018.

Navigating Cognition: Spatial Codes for Human Thinking. Bellmund J.L.S. e altri, in «Science», Vol. 362, articolo n. eaat6766, 9 novembre 2018.