Il tema dell’altruismo attraversa tutta la riflessione moderna, ma sta mostrando la sua rilevanza anche a fronte delle risposte che singoli e comunità stanno dando al Covid 19, alla guerra in Ucraina e alla crisi economica.
Una visione psicologica
L’altruismo è visibile fin dai primi anni di vita, come atteggiamento innato: i neonati entrano in risonanza con il pianto degli altri neonati, come si trattasse di una sorta di contagio emotivo. Successivamente, il bambino, nella sua evoluzione cerca di immedesimarsi negli altri e in particolare con le persone che soffrono.
Non è solamente condividere il dolore, ma capire come l’altro vede il mondo.
Quando le persone, oltre a badare a sé stesse, riescono anche a mettersi nei panni degli altri sono più inclini a offrire aiuto e conforto.
Il ruolo dell’educazione
Queste attitudini risentono del tipo di cultura in cui si vive e dell’educazione che si riceve fin dall’infanzia. La sorte del potenziale altruista, piuttosto che la caduta in comportamenti violenti e aggressivi è fortemente legata alle esperienze che insegnano al bambino a non curarsi soltanto di sé stesso.
L’aspetto importante è far sentire al bambino perché l’altruismo sia desiderabile.
Il ruolo dell’esempio
In generale, l’esempio risulta più efficace delle spiegazioni, e continua ad avere un impatto negli anni successivi, dato che i bambini orientano gusti e comportamenti sui modelli che trovano nel loro ambiente di vita. Pensarsi come persone capaci di aiutare alimenta quella sicurezza e quell’immagine di sé che spingono a intervenire, senza remore, ogni qual volta è necessario. Calarsi in altri ruoli e scambiarli, «fare la parte di», sono giochi che i bambini fanno volentieri e che li aiutano a entrare nella pelle dell’altro. Aspetti che poi sono fondamentali per vivere positivamente anche i fallimenti della vita, sviluppando quella che chiamiamo resilienza. Si tratta di un’esperienza sociale che apre alla speranza che, quando io ne avrò bisogno, ci sarà qualcuno che si occuperà di me.